Partiamo da un fatto: il 25 maggio 2018 è entrato in vigore il GDPR (General Data Protection Regulation), il nuovo Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali. Una data fondamentale per le aziende interessate alla tutela del proprio patrimonio informativo.
Il GDPR nelle organizzazioni italiane
E alla luce di questo, dopo quasi cinque anni dall’entrata in vigore del GDPR, i segnali positivi non mancano. Quasi un quarto delle organizzazioni si è dichiarata conforme ai requisiti previsti dalla normativa e, allo stesso tempo, è diminuito il numero di aziende che si dichiara poco consapevole sulle implicazioni del nuovo Regolamento. È anche vero che sono ancora molte le organizzazioni che ancora riscontrano difficoltà, specie nell’individuazione dei ruoli e delle responsabilità in azienda.
Per continuare a realizzare le modifiche organizzative richieste dal GDPR occorre coinvolgere il management delle aziende, sfruttando il tempo a disposizione per compiere tutte le analisi necessarie ed evitare il rischio di commettere un illecito ed essere sanzionati da un’autorità amministrativa.
Gli impatti del GDPR sullo Smart Working
Quali impatti sta avendo tutto ciò sullo Smart Working? In teoria il Regolamento, se applicato a dovere, non dovrebbe comportare grossi rischi in materia di Lavoro Agile. Ma è necessaria professionalità.
È vero però che la mancanza di organizzazione, l’improvvisazione, sono rischi reali. Un lavoratore agile, direttamente da casa sua, può accedere al database aziendale, contattare clienti, utilizzare strumenti come Skype e simili. Il rischio di infrangere le disposizioni del GDPR, dunque, è altissimo. Le informazioni in possesso dello smart worker sono dati che, secondo il nuovo Regolamento, l’azienda deve tutelare e proteggere con massima attenzione. E ovviamente uno Smart Working improvvisato può infrangere queste regole.
Come si trova la giusta misura? Con la formazione delle risorse. I lavoratori agili devono essere istruiti e seguiti passo-passo nell’adozione del nuovo regolamento.
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