Cosa Ostacola l’Innovazione (Digitale) nelle imprese?

Comunicato stampa Startup Thinking Open Innovation Dicembre 2016

Di Alessandra Luksch, Direttore Osservatorio Startup Intelligence

In questi ultimi anni abbiamo assistito a una trasformazione epocale nei paradigmi competitivi delle imprese, effetto soprattutto della famigerata digital disruption che ha trascinato molte imprese verso il successo e molte altre verso il declino. Tutte però hanno dovuto prendere coscienza di un inesorabile cambiamento culturale in atto (nei comportamenti del cliente, negli stili di leadership aziendali, nella velocità delle decisioni intesa in senso ampio) e della necessità di saper perseguire l’innovazione, in primis digitale, in modo agile e veloce, in un contesto che permane di risorse limitate.

 

La strada però non è semplice. Permangono infatti ostacoli ad un’efficace gestione dell’Innovazione Digitale nelle imprese e le cause sono principalmente interne alle organizzazioni, come emerge da una recente indagine degli Osservatori Digital innovation.  Se da un lato il Digitale è ormai ampiamento riconosciuto come elemento vitale per il business, pervasivo e trasversale (da “supporto al business” a “business stesso”!), paradossalmente la principale sfida rimane per quasi il 60% delle imprese la difficoltà nel coordinamento e cooperazione tra Direzioni, secondo un vecchio e ormai noto copione di resistenza al cambiamento, difesa del proprio campanile e segregazione delle competenze in silos funzionali. In seconda battuta le imprese, più di una su due, sono frenate dalla riconosciuta carenza di competenze digitali e dalla conseguente incapacità di identificarle e svilupparle. Il tema non è banale perché la digital disruption ha introdotto anche un fenomeno di liquefazione delle competenza nell’organizzazione e ibridizzazione dei ruoli con enfasi spesso su soft skill (collaborazione, curiosità, nerworking) piuttosto che su competenze tecnologiche.

 

Fin qui, potremmo dire, poche sorprese. Ma il dato che più ci interessa e su cui vogliamo focalizzare la nostra riflessione è la scarsa sensibilità nei confronti della cultura imprenditoriale, la tanto evocata Corporate Entrepreunership, che solo l’8% delle imprese identifica come sfida prioritaria per la gestione dell’Innovazione, non solo Digitale. Fenomeni come AirB&B e Uber ci hanno insegnato che, per fronteggiare la rapidità e l’imprevedibilità della digital disruption, è necessario andare oltre la pura attenzione agli indicatori di prestazione ed efficienza, aumentando la propensione al rischio e introducendo una cultura di accettazione dell’errore come prassi di sviluppo. Questo è un rinnovamento culturale forte che non può però venire dal basso. Non possono essere i singoli individui a rivedere la propria posizione di confort e i criteri con cui valutare il proprio operato. La spinta deve provenire dal vertice aziendale e deve essere connaturata con un rinnovamento nei sistemi di people management e di leadership, ma anche nei criteri di valutazione dei ritorni degli “investimenti”. La cultura imprenditoriale in azienda, favorita convintamente e concretamente dal vertice, può sostenere un nuovo entusiasmo da parte dei collaboratori nel condurre i processi di innovazione e nel rendersi promotori e imprenditori di soluzioni innovative.

 

Sebbene appaiono ancora poche le imprese consce di questa necessità (8%), qualche concreta azione si sta manifestando. Citiamo ad esempio il programma MyBestFailure di Enel tenutosi nel giugno di quest’anno per premiare i “migliori errori aziendali”, AD compreso. Il programma, sponsorizzato dall’AD e dall’Head of Innovation and Sustainability, è nato per mettere in discussione l’assioma per il quale non si sbaglia mai, e per esaltare il principio che se non si sbaglia non si impara e se non si impara non si cambia. 

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Alessandra Luksch

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Academy, Startup Thinking
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