Da Great Resignation a Great Detachment: aumentano i “disillusi” al lavoro
Un lavoratore su tre usa l’AI, in media 30 minuti risparmiati al giorno
- Resta forte il malessere: solo il 10% dei lavoratori sta bene nel contesto organizzativo. Aumentano di 2 punti percentuali i quiet quitter, cala di 6 punti percentuali la quota di chi fa chi effettivamente colloqui
- Il 60% delle organizzazioni ha investito in AI per la produttività. Ma nell’85% dei casi i lavoratori usano strumenti AI personali o gratuiti trovati online
- Il 78% delle organizzazioni fatica ad assumere. In quelle skill-based i lavoratori coinvolti e motivati salgono dal 17% al 42%
- Generali, Webuild, SACE e A2A vincono gli HR Innovation Award 2025, AGSM AIM l’HR Innovation IMPACT Award
Nel 2025 si conferma un diffuso malessere tra i lavoratori italiani; solamente il 17% è pienamente ingaggiato e appena il 10% “sta bene” nelle tre dimensioni del lavoro: fisica, relazionale e mentale. Una buona quota di dipendenti ha cambiato impiego nell’ultimo anno (11%) o ha intenzione di farlo entro i prossimi 18 mesi (30%). Ma l’aumento dell’inflazione, i timori di una recessione e l’instabilità economica rendono oggi più rischioso cambiare lavoro, facendo sentire spesso le persone ‘bloccate’ e mentalmente disconnesse. E così, dopo i fenomeni di Great Resignation e Great Regret (il boom di dimissioni volontarie e relativi pentimenti), si affaccia il Great Detachment: lavoratori rassegnati all’insoddisfazione, che rinunciano a cercare una condizione migliore e spengono le proprie energie. Aumentano i quiet quitter, che restano al loro posto facendo il minimo indispensabile senza essere emotivamente coinvolti: oggi sono il 14% del totale, ben uno su sette. Tra coloro che vogliono cambiare impiego, passa dal 58% al 52% la quota di chi sta effettivamente facendo colloqui. Crolla la quota di chi dopo aver cambiato lavoro si è pentito (dal 56% al 20%), anche se la maggior parte di chi ha cambiato lavoro continua a essere insoddisfatto.
Parallelamente, si afferma una crescente ricerca di protezione e di stabilità economica. Nella scelta di un nuovo lavoro, dopo il benessere – che rimane la principale motivazione per cambiare – tornano in primo piano criteri più “tradizionali” come le tutele del contratto, la retribuzione e i benefit. A conferma di questa tendenza, i servizi di wellbeing più richiesti sono l’assistenza sanitaria e i buoni pasto.
In questo contesto, si diffonde l’Intelligenza Artificiale, che in ambito HR può aumentare produttività, engagement e benessere. Il 45% delle aziende ha già investito in AI a supporto dei processi e il 60% a supporto della produttività individuale, ma le direzioni HR faticano ancora a guidare questa trasformazione e a comprendere come questi strumenti vengono utilizzati al proprio interno. Nell’ultimo anno, infatti, un terzo dei lavoratori (il 32%) ha utilizzato l’AI nelle sue attività, ma utilizzando soprattutto soluzioni personali o gratuite reperite online, non quelle fornite dalla loro azienda. E solo un’azienda su sette analizza l’impatto che i sistemi di AI possono avere sulle attività lavorative.
In media, chi usa strumenti AI al lavoro lo fa per il 20% delle sue attività, con un risparmio del 26% di tempo, equivalente a circa 30 minuti al giorno (che arrivano a 50 minuti per chi li utilizza quotidianamente). Il tempo “guadagnato” è usato soprattutto per svolgere le stesse attività con maggiore produttività (60%) o attività a maggior valore aggiunto (53%), ma anche attività extra-lavorative, impegni personali e familiari (44%).
Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano*, presentata oggi durante il convegno: “Tracciare la rotta del cambiamento: AI, nuove strategie e competenze per il futuro del lavoro”. Uno degli oltre 50 differenti filoni di ricerca degli Osservatori Digital Innovation della POLIMI School of Management (www.osservatori.net) che affrontano tutti i temi chiave dell’Innovazione Digitale nelle imprese e nella Pubblica Amministrazione.
“Tra i lavoratori italiani si rileva una crescente frustrazione, attribuibile alla percezione di instabilità del mercato del lavoro, accentuata da conflitti e crisi globali e da retribuzioni spesso inadeguate al costo della vita – afferma Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice -. Così, a fianco al benessere e all’equilibrio, che continuano a essere le priorità delle persone, si sta affiancando una crescente ricerca di sicurezza e protezione. In questo contesto, la sfida principale per le Direzioni HR nel 2025 è lavorare sul senso e il significato del lavoro, cercando di ovviare al senso di precarietà crescente. In un’epoca di grande trasformazione, tra ricambio generazionale e rivoluzione tecnologica, l’HR deve tracciare la rotta del cambiamento delle organizzazioni, che oggi passa da AI, nuove strategie e nuove competenze”.
“Le aziende italiane stanno investendo in AI, ma le Direzioni HR faticano ancora a governare questa trasformazione – spiega Martina Mauri, Direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice -, a cominciare da una scarsa comprensione di come i lavoratori la stiano già utilizzando nelle loro attività, con il rischio di assistere alla diffusione di nuovi strumenti e comportamenti senza una chiara strategia e senza capacità di guidarne gli impatti. L’intelligenza artificiale, da semplice strumento per migliorare efficienza e qualità del lavoro dei singoli, deve essere concepito come strumento strategico per riprogettare il lavoro, automatizzando attività, creando efficienza, ripensando ruoli, competenze e modelli per liberare tempo ed energie, con minori carichi di lavoro e mansioni più attrattive e sostenibili”.
L’AI in ambito HR
Le aziende italiane stanno investendo in intelligenza artificiale in ambito lavorativo, manca però un approccio sistemico nell’adozione, dall’analisi dei rischi alle policy, alle attività di formazione, al monitoraggio, fino all’analisi dell’impatto. E così, l’85% di chi utilizza l’AI al lavoro adotta strumenti personali o gratuiti reperibili online, anche se l’azienda fornisce strumenti di AI in 2 casi su 3: un’adozione non regolamentata con rischi legali, etici e di sicurezza, che impedisce di monitorare l’evoluzione e comprendere pienamente gli impatti. Solo il 14% delle aziende effettua un’analisi per comprendere l’impatto dei sistemi AI sulle attività lavorative.
Cresce l’utilizzo da parte dei lavoratori: il 32% ha utilizzato soluzioni di AI nell’ultimo anno (+23%), percentuale che sale al 43% per i white collar e al 54% per la GenZ. Ma spesso le persone non colgono ancora appieno le potenzialità della tecnologia, limitandosi a usarla come un semplice motore di ricerca: l’attività principale oggi è la ricerca di informazioni.
La maggior parte dei lavoratori che usa l’AI rileva miglioramenti di performance e produttività (91%), l’86% miglioramenti della qualità del lavoro e sempre l’86% della capacità di apprendimento, mentre tra i rischi rilevati spicca il timore di indebolire le relazioni interpersonali (81%). Il 32% dei lavoratori è preoccupato dell’impatto sul proprio lavoro nei prossimi 3-5 anni, timori legati principalmente all’aumento della precarietà e all’impatto sulle competenze. In misura minoritaria, c’è chi intravede l’intento di limitare le assunzioni, ridurre l’organico o intensificare il controllo sui dipendenti.
Il 45% delle organizzazioni dichiara di aver investito in soluzioni di AI nell’ultimo anno a supporto dei processi HR. L’area su cui sono più diffusi questi strumenti è quella della Talent Attraction. Tra le soluzioni più adottate in questo processo spiccano per presenza i software per ottimizzare la comunicazione a potenziali candidati e/ o nella scrittura degli annunci, seguiti da strumenti per analizzare i CV ricevuti e classificarli in base alla posizione aperta.
Il talent shortage
Un’azienda su due prevede una crescita di organico nel 2025, ma ben il 78% delle organizzazioni fatica ad assumere nuovo personale e, in circa la metà dei casi, la difficoltà è in crescita nell’ultimo anno. L’aspetto più critico è la difficoltà a trovare candidati con le competenze tecniche adeguate. Circa 1 nuova posizione su 4 riguarda professioni digitali: i profili più ricercati sono quelli specializzati in AI, Big Data Management & Data Analytics e Cybersecurity & Data Protection. Su tutti e tre è aumentata l’acquisizione tramite sviluppo interno a discapito della ricerca sul mercato esterno.
Il Talent Shortage rende ancora più centrale la capacità dell’organizzazione di sviluppare nuove competenze. Già oggi il 10% dei lavoratori deve essere riqualificato perché le competenze per svolgere il proprio lavoro non sono adeguate o sono a rischio obsolescenza entro 3-5 anni. E il 32% dei lavoratori è preoccupato che le sue competenze diventino obsolete nel breve futuro o di avere difficoltà a ricollocarsi. Ma più di 1 persona su 2 ritiene anche di avere competenze che potrebbero essere utili in altri ruoli, per cui attualmente non è presa in considerazione. Oggi, un’organizzazione su tre, non solo non effettua ancora un’analisi per identificare le competenze necessarie nel breve-medio termine (3-5 anni), ma nemmeno un’assessment delle competenze attuali.
La Skill-based Organization
Nelle Skill-based Organization le scelte di crescita, allocazione delle responsabilità e organizzazione del lavoro sono basate sulle competenze delle persone, piuttosto che su fattori tradizionali come la posizione gerarchica, l’appartenenza funzionale o l’anzianità. Un approccio che si fonda sulla “de-costruzione del lavoro”, in cui le competenze dei dipendenti vengono abbinate dinamicamente a compiti o progetti specifici anziché a ruoli fissi e su un’analisi strategica delle competenze presenti nell’organizzazione, con una struttura più orizzontale e basata su team auto-gestiti. In queste organizzazioni, oltre a una migliore valorizzazione delle competenze, la percentuale di lavoratori che “sta bene” sale dal 10% al 18% e gli intender e dimissionari passano dal 41% del campione al 36%. Ma il vero dato sorprendente è la percentuale di lavoratori pienamente coinvolti e motivati che balza dal 17% al 42%.
La GenZ
Per l’82% delle organizzazioni italiane è prioritario attrarre e trattenere le nuove generazioni. Comprendere e integrare i loro bisogni emergenti è una necessità strategica. I più giovani incarnano in modo emblematico le trasformazioni in atto nel mercato del lavoro. I temi più rilevanti per la GenZ sono il benessere e la ricerca continua di equilibrio tra vita lavorativa e privata. Il lavoro è solo una delle possibili fonti di auto-realizzazione e soddisfazione personale, una componente della vita che, pur importante, non può essere totalizzante. Inoltre, il salario non è più considerato un obiettivo e nemmeno come un mezzo per raggiungere uno status, ma come una risorsa necessaria. I servizi assistenziali e di welfare forniti dall’azienda, invece, vengono percepiti come essenziali per sopperire alle mancanze di uno Stato percepito meno presente e in grado di garantire sicurezza e protezione.
Le politiche DEI
L’amministrazione USA ha avviato una campagna senza precedenti contro le politiche di diversità, equità e inclusione. La richiesta è chiara: le aziende che forniscono prodotti o servizi al governo statunitense dovrebbero adattarsi al cambio di rotta, anche se hanno sede in Europa. Ad oggi non sembrano esserci ancora effetti in Italia: solo il 3% delle aziende dichiara di aver ridotto gli investimenti sulle tematiche DEI, a fronte di un 34% che ha in programma per il 2025 di lavorarci in continuità con lo scorso anno e il 23% che vuole ampliare le iniziative per affrontare il tema nel modo più esaustivo possibile.
L’indagine sul lavoratore è stata realizzata in collaborazione con BVA Doxa.
Gli HR Innovation Award
L’Osservatorio ha assegnato gli HR Innovation Award 2025 alle organizzazioni che si sono distinte per aver innovato e migliorato i propri processi di gestione e sviluppo delle risorse umane. I vincitori sono Generali nella categoria “Potenzialità dell’AI in ambito HR”, Webuild in quella “Digitalizzazione dei processi HR”, SACE nelle “Competenze al centro di nuovi modelli organizzativi” e A2A nelle “Soluzioni di welfare a sostegno del benessere”.
Nella categoria “Potenzialità dell’AI in ambito HR”, Generali ha vinto il premio per il suo progetto di introduzione di strumenti abilitati da Intelligenza Artificiale Generativa a supporto del performance management, che ha consentito di arricchire le valutazioni qualitative e supportare gli utenti nelle fasi del processo grazie a un chatbot dedicato. Gli altri finalisti sono Campari Group, con il progetto “Shake your career: Become a Camparista!”, e Carrefour Italia per l’adozione di uno strumento digitale per la valutazione delle soft skill durante il processo di selezione.
Nella categoria “Digitalizzazione dei processi HR”, Webuild si è aggiudicata il riconoscimento grazie al progetto di centralizzazione delle candidature provenienti da agenzie esterne in un unico touchpoint, che ha semplificato lo scambio di informazioni e migliorato la visibilità del processo di selezione. Gli altri finalisti sono Poste Italiane, con il progetto di digitalizzazione delle pratiche amministrative tramite applicativi web integrati con la piattaforma HCM, e KOS Group, con l’adozione di una piattaforma digitale a supporto del processo di recruiting che ha permesso di implementare un nuovo iter autorizzativo completamente digitale.
Nella categoria “Competenze al centro di nuovi modelli organizzativi”, SACE ha vinto con il progetto “A Journey toward a truly Agile Organization”, che ha abilitato la trasformazione verso un nuovo modello organizzativo con strumenti AI che hanno permesso di orientare le scelte strategiche sulla base delle competenze in possesso delle persone, liberare tempo da dedicare ad attività a maggior valore aggiunto, alla formazione, al volontariato e alla cura del benessere. Finalisti anche Arcese per il progetto “Skill-based Digital Transformation in Arcese – Road to @-platform” che pone le basi per approcci “skill-based” partendo da un progetto pilota nella Direzione IT, e Swegon Operations, grazie ai percorsi di formazione rivolti a potenziali candidati con l’obiettivo di sviluppare le competenze necessarie.
Nelle “Soluzioni di welfare a sostegno del benessere” A2A è il vincitore con il progetto “A2A Life Caring”, che offre strumenti a sostegno della genitorialità attraverso contributi economici, sensibilizzazione della popolazione aziendale e congedi extra per i neogenitori. I finalisti sono anche Lagardère Travel Retail Italia, con il progetto “AnticiPaga”, che permette di richiedere un anticipo sullo stipendio tramite un processo totalmente digitalizzato, e Reale Group, con il progetto “Reale Wellbeing”, che ha introdotto un portale per fruire dell’offerta di welfare con esperienza di navigazione personalizzata e una comunicazione mirata.
L’HR Innovation IMPACT Award è andato invece a AGSM AIM per il progetto “On-Volt”, che ha innovato il processo di onboarding favorendo la creazione di un’identità aziendale condivisa e la trasmissione dei valori aziendali ai nuovi assunti.
Da oggi è disponibile l’infografica gratuita con i dati chiave della ricerca, condivisibile attraverso l’inserimento di questo link.
* L’edizione 2024-25 dell’Osservatorio HR Innovation Practice della POLIMI School of Management è stata realizzata con il supporto di Alveria, Assolobarda, Babbel for Business, Cornerstone, Indeed, Joinrs, Jointly, nCore HR, Oracle, Quint, Rai, ServiceNow, Skillvue, Speexx, Studio Toffoletto De Luca Tamajo, Talentia Software, TeamSystem, Top Employers Institute, Up2you, Zucchetti; Frog Learning, Inaz, Innovation4HR, K-Rev, SAP, SEAC, Strada, Synergie, Talentware, WeExecutive; con il patrocinio di: Anitec-Assinform, Assintel
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Barbara Balabio
Ufficio stampa Osservatori Digital Innovation del Politecnico di MilanoScopri altri contenuti di HR Innovation Practice









