Lo Smart Working oltre il Covid-19: quale futuro dopo la pandemia?
Fiorella Crespi
Direttrice dell'Osservatorio Smart Working e del Tavolo di Lavoro Smart Working nella PA
Durante l’emergenza Covid-19 lo Smart Working forzato, che milioni di lavoratori hanno fatto, ha preservato la nostra salute, ha aiutato a garantire la continuità di business, ci ha insegnato il valore del lavoro per obiettivi e l’importanza del digitale.
Se il 2020 è stato l’anno dello Smart Working, nel 2021 il fenomeno è stato, se possibile, ancora di più al centro dell’attenzione e dei dibattiti, questa volta con sentimenti però contrastanti. L’interrogativo da porsi è quindi il seguente: qual è il futuro dello Smart Working? Quale dovrà essere l’approccio al lavoro delle aziende e delle PA dopo la pandemia?
Per rispondere alla domanda ci serviamo del lavoro dell’Osservatorio Smart Working, che in occasione del Convegno “Rivoluzione Smart Working: un futuro da costruire adesso” ha presentato i risultati della Ricerca 2021 sulla diffusione del fenomeno dello Smart Working nelle grandi e piccole medie imprese (PMI) del settore privato e nelle Pubbliche Amministrazioni (PA), approfondendo gli impatti e le evoluzioni alla luce dell’emergenza Covid-19.
Lo Smart Working prima e durante il Covid-19: cosa abbiamo imparato dalla pandemia
Prima di inquadrare il futuro dello Smart Working, è bene ripercorrere le tappe di questo fenomeno durante i mesi della pandemia. un’esperienza che ha messo drammaticamente in luce come l’organizzazione tradizionale del lavoro sia basata su assunti superati e inadeguati a interpretare l’epoca in cui viviamo. Per questo l’esperienza che imprese e lavoratori hanno fatto durante i mesi di gestione dell’emergenza sanitaria è risultata preziosa per progettare e sperimentare nuovi modi di lavorare e collaborare.
Lo Smart Working durante la prima ondata
Nel 2019 lo Smart Working riguardava circa 570.000 lavoratori. Erano soprattutto le grandi imprese ad avere iniziative strutturate, mentre restava bassa la percentuale di adozione nelle PMI e nelle PA. Il lavoro da remoto per gli smart worker era svolto, in media, un giorno alla settimana ed era prevalentemente riservato ad attività di lavoro individuale.
Durante la fase più acuta dell’emergenza lo Smart Working ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle pubbliche amministrazioni italiane e il 58% delle PMI, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori agili, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, oltre dieci volte più dei 570mila censiti nel 2019.
L’applicazione dello Smart Working durante la pandemia, seppure forzata e emergenziale, ha dimostrato:
come un modo diverso di lavorare sia possibile anche per figure professionali prima ritenute incompatibili;
ma ha anche messo a nudo l’impreparazione tecnologica di molte organizzazioni.
Più di due grandi imprese su tre hanno dovuto aumentare la dotazione di pc portatili e altri strumenti hardware e di strumenti per poter accedere da remoto agli applicativi aziendali tre PA su quattro hanno incoraggiato i dipendenti a usare i dispositivi personali; il 50% delle PMI non ha potuto operare da remoto. A livello organizzativo, invece, è stato difficile mantenere un equilibrio fra lavoro e vita privata.
Nonostante le difficoltà, questo Smart Working atipico figlio dell’emergenza ha contribuito a migliorare le competenze digitali dei dipendenti, a ripensare i processi aziendali e ad abbattere barriere e pregiudizi sul lavoro agile, segnando una svolta irreversibile nell’organizzazione del lavoro.
La fase 2 e il “new normal”
Con la fine del primo lockdown e l’inizio della fase 2 della gestione dell’emergenza aziende e PA hanno gradualmente iniziato a riaprire gli uffici, riadattando spazi e orari per mantenere il distanziamento, integrando il lavoro in sede con il lavoro da remoto. .Per facilitare il rientro in sicurezza le principali iniziative sono state:
l’introduzione di regole e linee guida sull’utilizzo degli ambienti;
la definizione di un piano di rientro delle persone con turni per i team di lavoro;
l’introduzione di segnaletica per orientare i flussi e incentivare comportamenti sicuri.
Gran parte delle grandi aziende ha lasciato autonomia riguardo al numero di giornate di lavoro agile, ma con procedure per non superare il limite di persone imposto dalla necessità di distanziamento. Questa esigenza in particolare ha portato a interventi sugli ambienti di lavoro, come postazioni più distanziate o separate o la chiusura di alcune aree della sede. Allo stesso modo, per evitare assembramenti sono stati rimodulati gli orari di ingresso e uscita (34% e 25%).
Sempre in questa fase si è parlato, forse imprudentemente, di “new normal“, un nuovo approccio al lavoro volto a tradurre le nuove abitudini e competenze digitali acquisite durante il periodo di lockdown in progetti formali e strutturati di Smart Working.
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