Sempre più spesso si sente parlare di cultura del fallimento e di accettazione dell’errore, come nuovo mantra della cultura manageriale.
È infatti uno dei temi sviluppato con la community degli Innovation Manager dell’Osservatorio Startup Intelligence. Sbagliare, in effetti, fa parte della natura umana – errare humanum est – soprattutto quando nella nostra vita entrano delle “innovazioni”, quando iniziamo a camminare, a scrivere, o a fare i genitori. Intendiamoci, non parliamo dell’errore commesso per dabbenaggine, per imperizia o trascuratezza, ma dell’errore generato dall’incertezza, dal rischio che si assume, dall’imprevedibilità della novità in sé.
Tutta la nostra vita è quindi un trial and error per migliorare. Perché, allora, non dovrebbe esserlo anche sul lavoro?
Fallimenti… di successo!
Inutile ricordare che la storia delle imprese e degli innovatori è una costellazione di fallimenti: Steven Spielberg è entrato nella scuola di cinema al quarto tentativo, J.K. Rowling ha ricevuto rifiuti da 12 editori, Il primo aspirapolvere funzionante costruito da James Dyson è stato il suo 5.127esimo modello, Thomas Edison ha prodotto 10.000 prototipi prima di creare una vera lampadina. Frutto di errori sono stati la tecnologia microonde e i post-it, giusto per citare due casi ben presenti nelle vite di ognuno di noi.
L’introduzione della cultura del fallimento è oggi favorita dalla rapida evoluzione e dalla crescente incertezza dei contesti in cui le imprese operano. Queste caratteristiche sono state generate da un profondo cambio dei paradigmi competitivi, sostenuto in primis dalla rivoluzione digitale – globalizzazione, infedeltà dei consumatori, multidisciplinarietà, velocità, … – e hanno portato allo sviluppo di nuove metodologie e approcci quali la metodologia Agile o l’approccio Lean Startup che vedono tra i loro principi proprio l’accettazione dell’errore come prassi di lavoro.
L’importanza della cultura del fallimento in azienda
La cultura del fallimento come nuovo stile di leadership rappresenta, infatti, un importante substrato organizzativo e culturale per le imprese che vogliono essere innovative. Per sostenere comportamenti che promuovono l’innovazione, saper gestire un certo grado di errore, di per sé, incoraggia la generazione di nuove idee, la curiosità, l’assunzione di rischi, la sperimentazione, la competizione tra peer, l’atteggiamento positivo nei confronti del cambiamento, il confronto costruttivo.
Essa è, in primis, una leva per stimolare l’approccio imprenditoriale nei dipendenti, favorirne la propositività, la partecipazione e l’ownership nei processi di innovazione, evitando di inibire o punire chi prova a “cambiare le cose”, senza timore di conseguenze negative sulla propria immagine, status o carriera professionale.
L’errore riduce i costi e incoraggia la collaborazione
La cultura dell’errore è importante anche perché sviluppa la capacità di comprendere velocemente quali iniziative è opportuno abbandonare e quali invece ha senso perseguire e sviluppare, riducendo quindi i tempi dell’innovazione ma anche i costi. In particolare evita di cadere nella trappola dei costi affondati, che spesso rappresentano, perniciosamente, la ragione per cui si persevera lungo traiettorie ormai evidentemente sbagliate.
La cultura dell’errore rende più semplice adottare uno stile decisionale partecipativo, in cui si sviluppi multidisciplinarietà, collaborazione, ascolto e confronto, in cui sia più facile gestire il conflitto, superare i silos funzionali, trovare obiettivi condivisi, in cui sia possibile accettare diversi stili di pensiero tra i membri dell’organizzazione ma allo stesso tempo incoraggiare un confronto costruttivo tra di loro per affrontare la complessità e la dinamica dei contesti attuali.
Le imprese – e le persone! – vincenti e innovative non devono premiare solo il successo, ma devono saper gestire e tollerare anche un certo grado di errore, al fine di creare non solo opportunità di business ma anche un’organizzazione sempre più capace di affrontare il futuro.
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