Intelligenza Artificiale, tra entusiasmo e nuove sfide: la corsa ricomincia

Contenuto Gratuito Insight Artificial Intelligence Cloud Transformation Luglio 2025

“The AI frenzy is escalating. Again”. È il titolo di un recente articolo – 27 giugno – di The New York Times (NYT), che nel sottotitolo specifica che “Companies like OpenAI, Amazon and Meta have supersized their spending on artificial intelligence, with no signs of slowing down.” La tesi è che la frenesia per l’intelligenza artificiale (AI) nella Silicon Valley ha trovato un nuovo feticcio: la superintelligenza. Due anni e mezzo dopo il lancio da parte di OpenAI dell’AI generativa, le imprese tech ma anche il venture capital stanno investendo cifre sempre più grandi nel frenetico sforzo di creare sistemi che possano imitare il cervello umano o ancor meglio eccederne le capacità.

Gli investimenti più rilevanti sono quelli per i sempre più giganteschi data center (Fig. 3). Le tre imprese leader globali nel cloud – Amazon, Microsoft e Alphabet-Google – e insieme a esse Meta, direttamente impegnata nella messa a punto di suoi modelli AI in formato open source, effettueranno nel 2025 investimenti infrastrutturali (in misura prevalente in data center specializzati per l’AI) per complessivi 320 miliardi di $, più del doppio rispetto al 2023. Ma non sono le sole imprese a effettuare mega investimenti in data center, perché Nvidia a un estremo (l’impresa che con i suoi GPU-Graphics Processing Unit domina il mercato dei microprocessori per la messa a punto dei modelli AI ed è al momento prima al mondo per capitalizzazione con un valore superiore a 4 trilioni di $) e OpenAI all’altro estremo mirano – con la presenza nelle diverse fasi della filiera dell’AI – a non dipendere troppo dagli altri attori della filiera stessa e se possibile a rafforzare il loro potere contrattuale. Una strategia speculare rispetto a quella delle quattro Big Tech citate in precedenza, che

  • da un lato sviluppano propri modelli di AI e/o acquisiscono in forma più o meno mascherata (per non incorrere in problematiche antitrust) startup operanti nella messa a punto di modelli AI e/o stringono con esse accordi di collaborazione molto stretti e/o puntano direttamente all’acquisizione di talenti,
  • dall’altro cercano di mettere a punto (come ad esempio nel caso di Amazon) propri microprocessori, da affiancare – per le operazioni meno impegnative – a quelli estremamente costosi di Nvidia.  

Di seguito vengono riportati alcuni esempi di questa complessa ragnatela, per discutere poi i dubbi espressi da più parti sulla redditività – nel medio termine almeno – di questi grandiosi investimenti.

La corsa frenetica verso la superintelligenza non ha come motivazioni solo l’orgoglio o l’affermazione del brand: nel caso “OpenAI vs Microsoft” essa può avere una valenza economico-strategica molto elevata per ambedue le società

Nell’ultimo conferimento di capitale a fine marzo – ben 40 miliardi di $ (per tre quarti versati da SoftBank) – OpenAI, che sta disperatamente cercando di convertirsi da nonprofit (come è nata nel 2015) a for-profit – è stata valutata 300 miliardi di $, uno dei valori più alti in assoluto della storia per una impresa non quotata. Microsoft, a 50 anni dalla sua fondazione, continua a essere una delle società a maggior capitalizzazione a livello mondiale, alternandosi nella prima posizione con Apple e Nvidia: a inizio luglio è seconda (3,7 trilioni di $) alle spalle di Nvidia.

Microsoft ha permesso a OpenAI di crescere, con conferimenti di oltre 13 miliardi quando OpenAI era sostanzialmente priva di risorse, in cambio di una serie di diritti futuri sull’utilizzo dei modelli AI sviluppati da OpenAI: con la curiosa clausola, dettata dalla impossibilità di acquisire una quota del capitale di una nonprofit, che questi diritti sarebbero svaniti al raggiungimento dell’AGI-Artificial General Intelligence.   

Una clausola che – come spiega WSJ OpenAI, Microsoft Rift Hinges on How Smart AI Can Get: Silicon Valley is at odds over whether AI can reach and exceed humanlike intelligence, a milestone with major implications for the startup and technology giant’s partnership”, 25 giugno – è ora causa (Fig. 1) di fortissime tensioni: che potrebbero addirittura spingere OpenAI a invocare l’intervento delle authority antitrust.

Un tema, quello dell’AGI, oggetto anche di un interessante articolo di FT – “Why Big Tech cannot agree on artificial general intelligence: It has been tipped as the next big breakthrough out of Silicon Valley, but is it a scientific goal or a marketing buzzword?”, 19 giugno – che discute le mille definizioni che del raggiungimento/ superamento dell’intelligenza umana sono state date. È pure oggetto di una presa di posizione netta da parte di Christopher Mims (technology columnist di WSJ): “Why Superintelligent AI Isn’t Taking Over Anytime Soon – Despite claims from top names in AI, researchers argue fundamental flaws in reasoning models mean bots aren’t on the verge of exceeding human smarts”.

Fig.1 Il duro confronto fra Microsoft e OpenAI 

OpenAI entra nel cloud computing, con la partnership di SoftBank e Oracle negli US e con il supporto di capitali arabi negli UAE

Alla continua ricerca della sua autonomia da Microsoft, OpenAI ha lanciato nello scorso anno – con la partnership di SoftBank e Oracle – il progetto Stargate, con l’obiettivo ambizioso di raccogliere sino a 500 miliardi di $ nei prossimi 4 anni, per costruire una rete di complessi di data center in giro per il mondo, in cui rendere disponibili i suoi modelli AI:

  • il primo in Texas, 60 miliardi il costo e 1,2 gigawatt il consumo di elettricità, è in fase di costruzione;
  • il secondo ad Abu Dhabi verrà realizzato da G42 (una impresa AI controllata dal fratello del presidente degli UAE-Emirati Arabi Uniti) e gestito congiuntamente da OpenAI e Oracle, con il supporto tecnico di Nvidia, Cisco e SoftBank.

Anche Nvidia sta ampliando la sua presenza diretta e indiretta nel cloud computing, in aperta competizione con i suoi principali clienti, e si spinge pure – attraverso accordi di collaborazione e/o acquisizioni di quote – più a valle 

Se OpenAI cerca di ampliare la rete di accesso ai suoi modelli AI, nella speranza nel frattempo di liberarsi dei vincoli che la legano a Microsoft, Nvidia – come detto numero uno al mondo con una capitalizzazione di oltre 4 trilioni di $ (Fig. 2) – vuole evitare che la troppo concentrazione della sua clientela rappresenti un punto di debolezza per il futuro. “Nvidia seeks to build its business beyond Big Tech – Chipmaker establishes ties with nation states and ‘neoclouds’ in effort to reduce reliance on Microsoft, Amazon and Google”, scriveva FT il 18 maggio. E il discorso è stato ripreso recentemente da WSJ – “Nvidia Ruffles Tech Giants With Move Into Cloud Computing – Things are getting awkward for cloud incumbents as the AI chip giant eyes their turf”, 25 giugno – che accentua l’interpretazione offensiva, e non semplicemente difensiva, delle mosse di Nvidia stessa, quali

  • Nvidia ha creato due anni fa un suo servizio cloud, DGX Cloud, che al momento della nascita era ritenuto dagli analisti in grado di raggiungere i 10 miliardi di $ di ricavi annui e ha una serie di partecipazioni attive in imprese – quali CoreWeave quotata recentemente al Nasdaq – che stanno cercando di rubare spazi nel cloud ai tre cosiddetti hyperscalers;
  • Nvidia ha stretto alleanze con imprese quali Cisco, Dell e HP, per aiutarle nell’assistere le imprese che preferiscono costruirsi cloud privati.

Ma è forte anche la tentazione di spingersi più avanti nella filiera, come evidenziato da WSJ

  • Nvidia and Perplexity Team Up in European AI Push – The chip giant and AI search startup are offering specialized AI models for European users, aiming to widen their reach in the region”, 11 giugno
  • L’Oréal Taps Nvidia Tech to Supercharge Its AI Efforts – The companies will initially collaborate in two areas: L’Oréal’s AI-spun ads and product recommendations”, 11 giugno.

Fig.2 – Nvidia è stata la prima impresa in assoluto a raggiungere i 4 trilioni di $ di capitalizzazione

Amazon, leader nel cloud con AWS, accresce ulteriormente i suoi investimenti in AI data center, consolida la sua partnership con Anthropic, mette a punto sue GPU per sostituire almeno in parte quelle di Nvidia

Il cloud computing è un comparto di grande rilevanza per Amazon: vale quasi il 30 per cento dei suoi ricavi, ma – dati gli attuali ampi margini – ben il 60 per cento circa del suo reddito operativo. È una sorta di obbligo quindi

  • continuare a investire in misura massiccia in AI data center per mantenere la leadership,
  • investire in un partner forte nella messa a punto di modelli AI quale, Anthropic (61 miliardi di $ la sua valutazione più recente) – in grado di competere con quelli di OpenAI, Microsoft, Alphabet-Google, Meta e xAI – con un occhio anche (dopo l’exploit di DeepSeek a inizio anno) a come sta evolvendo l’offerta in Cina,
  • mettere a punto proprie GPU, per ridurre l’utilizzo di quelle molto più costose di Nvidia, nella speranza anche di pareggiarne la qualità con una intensa attività di ricerca.

Gigantesco ad esempio l’investimento in corso in Indiana – 100 miliardi di $ il valore e 2,2 gigawatt il consumo di elettricità (un ammontare sufficiente a servire un milione di abitazioni) – in un campus contenente 30 data center, destinati in primo luogo alla messa a punto dei modelli AI di Anthropic. È il primo di una serie di campus simili che Amazon vuole costruire nell’ambito del Project Rainier (la denominazione fa riferimento al monte vicino agli headquarters di Amazon a Seattle) e si pone in gara con il campus da 2 gigawatt che Meta sta costruendo in Louisiana e con quelli visti in precedenza che sta mettendo a punto OpenAI nel Texas e negli UAE.

 

La guerra per i talenti: le cifre messe in gioco sono sempre più alte

Investire in infrastrutture è fondamentale, ma lo è altrettanto – nei confronti fra grandi imprese – investire in capitale umano:

  • sottraendo ai competitori quelli che vengono considerati i maggiori “talenti”,
  • acquisendo in forma più o meno mascherata AI startup di recente costituzione, per poter portare al proprio interno i fondatori di tali startup insieme con i loro collaboratori.

Mark Zuckerberg è in questo momento fra i più attivi sul mercato, con l’obiettivo di rilanciare l’AI di Meta dopo la delusione nelle prestazioni del suo ultimo modello AI. Come racconta WSJ (“Meta Poaches Three OpenAI Researchers – Social-media giant has hired Lucas Beyer, Alexander Kolesnikov and Xiaohua Zhai for its superintelligence effort“, 25 giugno), Zuckerberg

  • ha reclutato i tre ricercatori di OpenAI, che avevano aperto lo scorso anno la sede di Zurigo e in precedenza avevano lavorato in Google DeepMind, con un premio di ingaggio di 100 milioni di $ ciascuno, sollevando l’irritazione di Sam Altman (costretto a rivedere le remunerazioni dei suoi per non subire altre uscite)
  • ha investito 14 miliardi di $ in Scale AI (di cui ora possiede il 49%), portando al suo interno – come capo del team impegnato nello sviluppo della superintelligenza – il co-fondatore e CEO di Scale AI stessa Alexandr Wang
  • ha cercato anche di reclutare senza successo Ilya Sutskever, ex Google e ex co-fondatore e chief scientist di OpenAI, che ora ha creato la sua AI startup SSI-Safe Superintelligence. 

Alphabet-Google a sua volta ha approfittato delle tensioni fra OpenAI e Microsoft per portare in Google DeepMind il CEO e un co-fondatore di WindSurf, una startup focalizzata sull’agentic coding, oltre ad acquisirne una licenza non esclusiva per l’utilizzo della tecnologia (NYT, “Google Hires A.I. Leaders From a Start-Up Courted by OpenAIIn a $2.4 billion deal, Google recruited the chief executive and a co-founder of Windsurf, which OpenAI had been in talks to buy, as the battle to dominate artificial intelligence escalates”, 11 luglio). Una operazione strutturata per eliminare qualsiasi rischio di intervento dell’antitrust, in quanto non vi è stata alcuna entrata nel capitale e la maggior parte del personale è rimasta in Windsurf. Mentre la rinuncia all’acquisizione da parte di OpenAI è stata dovuta al rifiuto della stessa di condividere (come sancito dagli accordi iniziali) la proprietà intellettuale con Microsoft, attiva nel comparto con CoPilot.

Investimenti in AI, tra dubbi e sfide sui profitti

AI returns have not yet justified investment mania – it is hard to see where the needed revenues will come from”. È quanto sostiene Richard Waters, west coast editor di FT, riprendendo i dubbi che diversi analisti hanno espresso – il capo della equity research di Goldman Sachs e un partner di Sequoia (impresa leader nel venture capital) quelli citati da Waters – e continuano a esprimere, non tanto sulle potenzialità in termini di applicazioni che l’AI può far nascere quanto sui ritorni che le diverse applicazioni saranno in grado di generare (almeno nel breve termine) per ripagare gli enormi investimenti in atto e in fieri: investimenti che potrebbero (Fig. 3) raggiungere il trilione di $ annuo nel 2030. Richard Waters, nel suo articolo del 26 giugno, guarda alle applicazioni al momento di maggior successo in termini di utlizzo, sottolineando però come “some of the AI leaders are starting to notch up big percentage increases in business — but the extra revenue is counted in the tens of billions rather than the hundreds”:

  • Microsoft ha ad esempio evidenziato all’inizio del 2025 come i ritorni su base annua dall’AI siano cresciuti del 175%, raggiungendo i 13 miliardi di $, ma è una cifra che ammonta solamente al 5% dei ricavi complessivi attesi nell’anno;
  • il ritorno per OpenAI dalle subscriptions, sua principale entrata, ha raggiunto i 10 miliardi di $, il doppio rispetto all’anno precedente, ma è una cifra che “impallidisce” se posta a confronto con le spese in conto capitale;
  • ci sono segni di una crescita esplosiva nell’uso dei chatbot, che ha quasi trasformato OpenAI in una impresa “consumer tech”, ma il business rimane modesto: perché solo il 3% paga per il servizio, secondo una survey svolta da Menlo Ventures;

 

Fig.3 – Spending on data centres expected to hit $1tn by 2030 ($tn)

 

  • una delle aree di maggior successo dell’AI generativa, che ha alimentato la nascita di una nuova generazione di high-growth software start-ups soprattutto nel coding (la prima area di knowledge work seriamente disrupted dall’AI), non sembra almeno al momento aver generato una significativa crescita dei fatturati delle principali società di software, le meglio posizionate per offrire al sistema delle imprese una nuova generazione di AI-powered apps;
  • per gli agenti AI, su cui più elevate sono le aspettative che possano creare valore per le imprese automatizzando operazioni di rilevante complessità, i dubbi sono soprattutto sui tempi: perché come ovvio, per generare il massimo valore, la loro introduzione deve accompagnarsi a un ripensamento integrale dei processi che si vogliono automatizzare.

Se questo insieme di considerazioni è credibile, perché la mole degli investimenti infrastrutturali è in accelerazione? L’articolo di NYT in testa a questo paragrafo fornisce una sua versione, più legata all’orgoglio dei capi delle Big Tech che non a valutazioni economico-finanziarie. Dopo aver sottolineato – in linea con Richard Waters – i grossi rischi che investimenti di questa portata (probabilmente i più grandi della storia fra quelli effettuati da privati) comportano, conclude “But the bigger risk, many big CEOs believe, is not spending enough to keep pace with rivals”.  

La Cina sta insidiando la leadership US nell’AI? Le implicazioni economiche e geopolitiche

La gara su chi per primo eguaglierà o supererà l’intelligenza umana rischia di far dimenticare alle imprese statunitensi – alle Big Tech e alle AI startup che attirano i maggiori finanziamenti (OpenAI come detto è stata valutata 300 miliardi di $, xAI 80 e Anthropic 61) – che

  • il mercato dell’AI cui guardare non è solamente quello statunitense o comunque quello dei Paesi attualmente a maggior sviluppo, ma è sempre più – data la dinamica economica e demografica in corso – quello globale;
  • la domanda a livello globale è ovviamente molto variegata: per molti Paesi i modelli AI con soddisfacenti (anche se non top) livelli di prestazioni e bassi costi di acquisizione e utilizzo, ancor più se molto concreti negli obiettivi che si pongono, risultano largamente preferibili a quelli più sofisticati e costosi;
  • una volta che le imprese che offrono soluzioni AI più abbordabili siano penetrate in profondità nel tessuto di un Paese, nelle attività private ma anche nelle istituzioni, è molto difficile scalzarle.

È il problema che WSJ tratta nel suo articolo “China Is Quickly Eroding America’s Lead in the Global AI Race”, 1 luglio, evidenziando come

  • le imprese AI cinesi stiano sfidando la supremazia statunitense offrendo alternative meno costose (l’emergere di DeepSeek a gennaio provocò ad esempio un vero e proprio terremoto anche nelle valutazioni di Borsa), che in diversi settori vengono adottate ovunque;
  • gli US stanno cercando di restringere l’accesso della Cina alle proprie tecnologie AI – bloccando ad esempio le forniture di Nvidia dei microprocessori più avanzati – ma la Cina sta investendo pesantemente (anche per finalità belliche) nella messa a punto di una propria “AI supply chain”
 
  • la bipartizione del mercato, oltre evidentemente ad avere un impatto negativo economico e geopoltico per gli US, rende più problematica una cooperazione globale sugli standard di sicurezza da adottare per l’AI.

La Fig. 4 mostra come, nei rankings Chatbot Arena, le imprese cinesi – utilizzando anche tecniche quale la knowledge distillation per ridurre i costi e accelerare i tempi – siano molto vicine come livelli di prestazioni alle statunitensi. E nella classifica appare anche una impresa europea, la francese Mistral, non così lontana da Anthropic.   

 

Fig. 4 – Chatbot Battle. US. AI models still lead, but China’s are catching up

Il motore di ricerca di Google e l’advertising industry prime vittime dell’AI generativa?

Will AI eat the advertising industry?, si è chiesto The Economist in un articolo del 26 giugno. E qualche giorno dopo, il 5 luglio, è stato il turno di WSJ di evidenziare come l’ipotizzato tramonto del motore di ricerca di Google, a favore dei chatbot (incluso Gemini di Google stessa), stia stimolando una nuova imprenditorialità con il supporto dei principali operatori di venture capital:The Companies Betting They Can Profit From Google Search’s Demise – Startups are developing tools to help companies sell their goods and services online as consumers increasingly use chatbots to search, WSJ, 5 luglio. È curioso che si parli di crisi del motore di ricerca – principale fonte di ricavi e profitti di Alphabet-Google – nel momento in cui si avvicina la decisione finale del giudice federale che, su spinta dell’antitrust, ha riconosciuto Alphabet-Google colpevole di comportamenti monopolistici. E l’advertising industry viene a essere colpita, oltre che dal declino del search su cui si era basata per anni, dall’offerta da parte di Meta di strumenti AI che aiutino gli inserzionisti a prodursi gli “ads” senza avvalersi di intermediari.

L’AI rappresenta una seria minaccia all’occupazione?

Non è una domanda nuova, è una domanda che periodicamente è stata posta ogniqualvolta l’AI – che è opportuno ricordare che ha circa 75 anni di vita – ha fatto dei passi avanti, aiutata anche dall’enorme crescita della potenza di calcolo. È una domanda che ovviamente è tornata alla ribalta, destando preoccupazioni, con lo sviluppo dell’AI generativa. Il settore dove l’occupazione ne sta più risentendo è come detto quello del coding, ma con il diffondersi delle sperimentazioni delle imprese è naturale aspettarsi che i problemi occupazionali aumentino

  • sia con i licenziamenti connessi con le ristrutturazioni (Amazon e Microsoft fra i casi più recenti),
  • sia con la logica “AI first” che diverse imprese stanno adottando: verificare cioè se le esigenze emergenti siano risolubili con l’AI prima di procedere a qualunque nuova assunzione.

WSJ in un articolo del 2 luglio – “CEOs Start Saying the Quiet Part Out Loud: AI Will Wipe Out Jobs – Ford chief predicts AI will replace literally half of all white-collar workers” – osserva come ci sia molto meno riluttanza, da parte dei CEO (ovviamente quelli statunitensi), nel fornire previsioni sull’impatto dell’AI sull’occupazione, in particolare sulle molto minori esigenze di colletti bianchi da parte dell’imprese: con cali previsti molto diversi, ad esempio tra Ford (il 50%) e JPMorgan Chase (il 10%). Altri – tra cui il COO di OpenAI – ovviamente minimizzano, mentre altri ancora preferiscono in contropartita esaltare i nuovi posti di lavoro che l’AI farà nascere. 

L’enfasi è al momento sui colletti bianchi, ma l’utilizzo dell’AI per creare robot umanoidi che possano interagire direttamente con gli umani – se di successo – potrebbe allargare anche sensibilmente la platea dei perdenti.

A cura di

Umberto Bertelè

Chairman

Chairman degli Osservatori Digital Innovation

Siamo a tua disposizione per informazioni e assistenza

Martina Vertemati

Acquisti e abbonamenti Da Lunedì al Venerdì, dalle 09 alle 18

Alessia Barone

Assistenza Da Lunedì al Venerdì, dalle 09 alle 18
Intelligenza Artificiale, tra entusiasmo e nuove sfide: la corsa ricomincia

Le migliori Aziende italiane si aggiornano su Osservatori.net