I pagamenti elettronici in Italia: fra tetto al contante, obbligo POS e commissioni

L’ultimo trimestre del 2022, con l’insediamento del nuovo Governo, è stato caratterizzato da diversi cambiamenti che hanno coinvolto anche la regolamentazione per alcune tematiche riguardanti i pagamenti digitali in Italia. La discussione generatasi attorno al tema evidenzia, ancora una volta, la rilevanza dei pagamenti digitali per il nostro paese e per i consumatori, che negli ultimi anni stanno dimostrando in maniera inequivocabile la sempre maggior preferenza per gli strumenti più innovativi, a scapito del contante. A partire da ottobre dello scorso anno, il susseguirsi di proposte di legge ha riguardato due temi principali: il tetto all’utilizzo del contante per effettuare gli acquisti e le sanzioni circa il mancato utilizzo del POS per accettare le transazioni con strumenti elettronici a causa delle commissioni troppo elevate. Con questo articolo si cerca di fare chiarezza riassumendo quelli che sono i principali avvenimenti e cercando di analizzare queste tematiche, che, seppur correlate, verranno trattate in due sezioni differenti.

Il tetto al contante
Quando parliamo di “tetto al contante”, ci riferiamo alla spesa massima che può essere effettuata utilizzando i contanti per acquistare un prodotto o un servizio. Questa soglia – soprattutto in Italia, ma anche negli altri paesi europei – è cambiata diverse volte nel corso degli anni, con strategie che nel lungo periodo, nella maggioranza dei casi, ne vedono un abbassamento. È Il caso per esempio della Grecia, che nel 2017 ha abbassato la soglia a 500 euro, o a quello del Belgio che negli anni è passato da 15.000, a 5.000 e poi 3.000 euro. Abbiamo poi la Francia, dove il tetto è 1.000 euro dal 2015, o la Danimarca che è passata da 13.500 euro nel 2012 a 2.700 euro nel 2022. Molto meno frequenti sono i casi di Stati che hanno alzato la soglia, mentre esistono Paesi come la Finlandia, l’Austria, la Germania e il Lussemburgo dove questo massimale di spesa in banconote non esiste. In Italia il limite al contante è cambiato ben 8 volte da quando è stato introdotto nel 1991, complice l’alternanza politica al governo, con un’altalena di rialzi e ribassi che denotano un’assenza di strategia chiara e continuativa per il nostro Paese. Nel 2008 la soglia è stata fissata a 12.500 euro, poi scesa a 5.000 euro nel 2010 e a 2.500 nel 2011; sotto il governo Monti il limite è stata imposto a 1.000 euro, per poi essere alzato a 3.000 euro dal 2016 al 2020 e abbassato nuovamente a 2.000 euro fino alla fine del 2022 (che sarebbe dovuto diventare 1.000 euro a gennaio 2023). Il Governo insediatosi a novembre dopo una proposta iniziale di riportare il tetto a 10.000 euro, ha invece fissato il limite a 5.000 mila euro. Una mossa in netto contrasto con il percorso che ha avviato l’Italia negli ultimi anni, volto a incentivare i pagamenti digitali per combattere l’evasione fiscale, oltre che migliorare processi e servizi. Secondo quando dimostrato anche da Banca d’Italia nel suo paper “Pecunia olet: Cash usage and the underground economy”, esiste infatti una correlazione diretta fra l’innalzamento dell’incidenza dell’economia sommersa.

L’obbligo POS e le commissioni dei pagamenti elettronici
L’altro tema su cui si è fortemente discusso durante gli ultimi mesi è quello delle sanzioni per chi si rifiutasse di far pagare i propri clienti con carte di pagamento o altri dispositivi elettronici. Anche in questo caso è importante fare un passo indietro. L’obbligo dell’utilizzo del POS in Italia era stato inserito nel decreto “Crescita 2.0” già a ottobre 2012, ma è solo a gennaio 2014 che il Ministero dello Sviluppo Economico imponeva l’obbligo di accettare i pagamenti con carte di debito di importo superiore ai 30 euro dal 30 giugno 2014. Due anni dopo è il turno delle carte di credito, ma con un abbassamento della soglia generale a 5 euro. La prima vera e propria proposta di sanzione per chi non rispettava questa imposizione viene introdotta solo nel 2019 con il Governo Conte II che, con l’articolo 23 del Decreto Legge n.124/2019 (c.d. “decreto fiscale”), stabiliva dal 1° luglio 2020 una multa pari a 30 euro più il 4% dell’importo rifiutato. Tuttavia è solo tramite un emendamento del DL Recovery e del PNRR del Governo Draghi che queste sanzioni vengono introdotte a partire dal 30 giugno 2022. Proprio su questo ultimo punto si è acceso il dibattito politico del nuovo Governo Meloni, che ha proposto di alzare la soglia che obbliga il commerciante ad accettare i pagamenti con il POS a 60 euro. Questa iniziativa, tuttavia, non ha passato il vaglio dell’Unione Europea per la quale la digitalizzazione del nostro paese, anche in termini pagamenti, è un requisito per accedere ai fondi del PNRR.

Il motivo che ha spinto a questa proposta, a detta del Governo, è quello di venire incontro alle esigenze dei piccoli esercenti che si trovano a sostenere delle spese aggiuntive per accettare i pagamenti digitali. Nel modello “tradizionale” più diffuso, oltre alla commissione sulla singola transazione che l’esercente riconosce alla banca o all’attore che fornisce il servizio di acquiring, esistono anche variabili legate all’affitto o acquisto del POS, alla sua installazione e alla manutenzione. Ad oggi esistono, però, diverse tipologie di modelli commissionali sul mercato, che i merchant possono scegliere in base alla tipologia di business che conducono e all’incidenza dei pagamenti elettronici sul numero di transazioni incassate. Anche la banca o la società emittente della carta possono influire su questo valore. In ogni caso, i modelli più comuni sono tre:

  • commissione % su ogni singola transazione , oltre a un canone mensile fisso per il noleggio del POS e il servizio di acquiring;
  • commissione % su ogni singola transazione (solitamente più alta rispetto al modello precedente), ma senza nessun ulteriore canone mensile o annuale;
  • canone mensile per il servizio (spesso definito fino a certe soglie di fatturato in elettronico), ma nessuna commissione richiesta su ogni singola transazione.

Il mercato dell’acquiring è quindi molto complesso e, anche per via di tutti i fattori sopracitati, è difficile determinare a priori con accuratezza le spese totali che sosterrà un commerciante, anche se tuttavia è possibile ipotizzare un valore medio che oscilla tra lo 0,5% e l’1,5% per i pagamenti con carta di credito e lo 0,4% e lo 0,8% per le carte di debito con circuito nazionale. Negli ultimi anni gli organismi regolatori (ad esempio l’UE con l”Interchange Fee Regulation” che pone dei tetti massimi alle commissioni interbancarie), ma anche il sistema bancario nel suo complesso, stanno lavorando per venire incontro alle esigenze dei loro clienti commercianti. Nei contratti più datati, infatti, oltre alla commissione % sull’importo, veniva addebitata (o viene addebitata tutt’ora nel caso in cui non ci sia stato un rinnovo delle condizioni) anche una commissione fissa per ogni singola transazione. Questo seconda fee, tuttavia, rendeva insostenibili i costi di accettazione dei pagamenti elettronici sulle microtransazioni con importi molto bassi.
È stato fatto quindi un importante lavoro per aggiornare tutte le offerte eliminando queste commissioni fisse e, ove possibile, riducendo quelle percentuali sull’importo. Certamente serve lavorare ancora per, in alcuni casi, comunicare in maniera efficace agli esercenti che le loro tariffe sono state aggiornate con condizioni più vantaggiose, in altri (qualora non si sia stato ancora effettuato questo lavoro di aggiornamento) fornire le corrette informazioni agli esercenti per far sì che possano muoversi nella direzione di andare a migliorare le proprie condizioni economiche del servizio di acquiring.

Parallelamente, è fondamentale far giungere agli esercenti anche l’informazione, spesso per nulla percepita correttamente, che anche il contante comporta dei costi per loro e che, in diversi casi, risultano superiori a quelli dei pagamenti digitali. Questa tesi è stata dimostrata già nel report dell’Osservatorio Innovative Payments “Il costo degli strumenti di pagamento: il punto di vista dei piccoli esercenti” del 2018, in cui sono stati anche classificati i costi legati al contante. Di recente, anche la Banca d’Italia, nel report “Il costo sociale degli strumenti di pagamento in Italia”, ha evidenziato come sia necessario considerare “gli oneri variabili legati alla sicurezza”: esistono infatti costi necessari per “proteggere” la somma accumulata a fine giornata da parte del negoziante come le spese legate ai furti, al trasporto valori e assicurative. C’è poi da considerare il tempo speso per contare l’incasso o i possibili errori di restituzione del resto. Occorre inoltre considerare i costi per evitare la contraffazione del denaro in forma di banconote, cosa che invece non è necessaria quando viene effettuato un pagamento elettronico. Tutti questi elementi, sempre secondo l’indagine di Banca d’Italia, portano il costo per accettare un pagamento tramite denaro contante pari all’1%, contro lo 0,65% per le carte di credito e debito.

A cura di

Ivano Asaro

Ivano Asaro

Innovative Payments, 5G & Beyond

Direttore degli Osservatori Innovative Payments e 5G & Beyond

Matteo Ruggieri

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Innovative Payments

Ricercatore Osservatorio Innovative Payments

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