Com’è evoluta la gestione dello Smart Working nella fase 2 dell’emergenza sanitaria, vale a dire dopo il primo lockdown della primavera 2020? E quali sono le iniziative principali che stanno mettendo in atto oggi le Pubbliche Amministrazioni e le aziende private? Scopriamolo in questo approfondimento.
Perché anche lo Smart Working è in “fase 2”
Facciamo un piccolo passo indietro. Nel 2019 lo Smart Working in Italia è cresciuto del 20%, soprattutto nelle grandi imprese. Ma nel 2020, a causa dell’emergenza Covid-19, questo fenomeno ha vissuto un’impennata, coinvolgendo anche PMI e PA: infatti, in molte realtà lo Smart Working è diventato la modalità preferibile (o addirittura obbligatoria) come soluzione per far fronte alle limitazioni dell’emergenza sanitaria assicurando la continuità del business.
Affrontare la seconda fase dell’emergenza in seguito al primo lockdown rappresenta, se possibile, una sfida non solo più complessa ma anche determinante per il futuro di aziende e lavoratori. Se è vero che durante la prima fase 6,58 milioni di lavoratori hanno avuto la possibilità di lavorare da remoto, è anche vero che le modalità di Smart Working adottate presentavano caratteristiche estreme ed emergenziali, portando alla luce l’ancora elevata inadeguatezza delle organizzazioni in termini di stili di leadership, tecnologie e cultura organizzativa.
Dopo le iniziative di adattamento organizzativo e tecnologico emerse durante il primo lockdown, quali sono dunque le sfide per aziende e lavoratori durante la seconda fase dell’emergenza? E perché è importante bilanciare il lavoro da remoto con il rientro in ufficio?
L’eredità dell’emergenza COVID-19 sul modo di lavorare: le principali iniziative realizzate dalle imprese durante le diverse fasi della pandemia
Lo Smart Working nella fase 2 dell’emergenza: le scelte di aziende private e PA
Con il perdurare dell’epidemia, per la fase 2 occorre non solo mantenere ma anche migliorare le iniziative di Smart Working avviate con lo stato emergenziale, possibilmente integrandole con la presenza in ufficio.
A tal proposito, anche a causa delle criticità segnalate dai lavoratori costretti a casa durante il primo lockdown (es. difficoltà nel mantenere un corretto work-life balance, senso di isolamento, competenze digitali limitate), alcune aziende private e PA hanno deciso di favore il rientro in sede al fine di:
aumentare il senso di appartenenza, la socializzazione e la collaborazione;
alleviare lo stress delle persone dovuto all’eccessivo isolamento;
migliorare la comunicazione;
migliorare la produttività.
Nel complesso, dopo il primo picco di lavoratori da remoto raggiunto a marzo 2020, si stima che nel mese di settembre abbiano lavorato (in parte) da remoto circa 5,06 milioni di lavoratori. Il calo ha coinvolto soprattutto le PA, ma anche aziende private, PMI e microimprese.
Le misure per il rientro in sede post-lockdown
Tra chi ha riaperto le porte (parzialmente) tra maggio e giugno e chi ha invece atteso la fine dell’estate, per predisporre in sicurezza il rientro in sede delle persone le organizzazioni hanno realizzato diverse iniziative. Al fine di evitare gli assembranti e garantire il distanziamento sono state adottate misure come:
introduzione di regole e linee guida per l’utilizzo degli spazi;
definizione di piani di rientro per ridurre i contatti (rimodulazione di orari di ingresso e uscita, adozione di turni);
segnaletica per orientare i flussi;
riduzione delle postazioni accessibili (con separatori o chiudendo alcune aree);
interventi su arredo e layout degli uffici.
Ciò non significa che il rientro sia stato semplice, anzi: di fronte al perdurare dell’emergenza, le organizzazioni si dimostrano prudenti e tendono ad agire con estrema cautela. Inoltre, a causa dell’incertezza generale e alla novità delle regole in tema di Lavoro Agile, i lavoratori non sempre ritengono che le modalità di rientro rispettino le loro esigenze.
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