Big Data is now: tomorrow is too late

Comunicato stampa Novembre 2017

Il mercato dei big data analytics in italia vale 1,1 miliardi di euro, +22% lL 42% della spesa va in software, il 33% in servizi, il 25% in infrastrutture abilitanti. Le grandi imprese rappresentano l’87% del mercato, ma crescono gli investimenti delle PMI. Maggiore diffusione in banche, industria e telecomunicazioni. Per il 43% dei CIO gli Analytics sono la priorità di investimento nel 2017 per linnovazione digitale. Il data scientist è già presente in quasi unazienda su due.

Il mercato dei big data analytics in italia vale 1,1 miliardi di euro, +22%

 

lL 42% della spesa va in software, il 33% in servizi, il 25% in infrastrutture abilitanti. Le grandi imprese rappresentano l’87% del mercato, ma crescono gli investimenti delle PMI. Maggiore diffusione in banche, industria e telecomunicazioni.

 

Per il 43% dei CIO gli Analytics sono la priorità di investimento nel 2017 per l’innovazione digitale. Il data scientist è già presente in quasi un’azienda su due.

Milano, 22 novembre 2017 – Il mercato dei Big Data Analytics continua la sua crescita nel 2017, segnando un aumento del 22% e raggiungendo un valore complessivo di 1,1 miliardi di euro. Per la maggior parte resta appannaggio delle grandi imprese, che si dividono l’87% della spesa complessiva, mentre le Pmi si fermano a una quota del 13%, anche se i loro investimenti aumentano del 18% rispetto allo scorso anno. Il 42% della spesa per gli Analytics è dedicata ai software (database, strumenti e applicativi per acquisire, visualizzare e analizzare i dati), il 33% ai servizi (personalizzazione dei software, integrazione con sistemi informativi aziendali e riprogettazione dei processi), il 25% alle infrastrutture abilitanti (capacità di calcolo, server e storage ).

 

Nel 2017 cresce il mercato e cresce la consapevolezza delle aziende italiane delle opportunità offerte: il 43% dei CIO italiani vede la Business Intelligence, i Big Data e gli Analytics come la principale priorità di investimento nel 2018. La maggiore consapevolezza si riflette anche nella crescita delle competenze impiegate: quasi un’impresa su due ha già inserito nel proprio organico uno o più data scientist, passando dal 31% del 2016 al 45% di quest’anno. Tuttavia, il processo di trasformazione delle tradizionali imprese italiane in “big data enterprise” è ancora lungo: soltanto il 17% ha raggiunto un buon livello di maturazione (contro l’8% del 2016), mentre il 26% si trova in una fase di riconfigurazione dei propri processi organizzativi e il 55% è rimasto legato a un modello organizzativo tradizionale, in cui le singole unità di business analizzano i dati di propria competenza senza una visione aziendale complessiva.

 

Sono i risultati della ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence della School Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net)* presentata questa mattina al convegno “Big Data is now: tomorrow is too late”. La ricerca ha coinvolto attraverso una survey oltre 1.100  CIO, Responsabili IT e c-level di altre funzioni di medie e grandi organizzazioni e analizzato oltre 1.100 player dell’offerta tramite interviste dirette o fonti secondarie.

 

“Il valore del mercato Analytics continua a crescere a ritmi elevati e quest’anno ha superato la soglia del miliardo di euro – commenta Carlo Vercellis, Responsabile scientifico dell’Osservatorio -. È il segnale che le grandi imprese ormai conoscono le opportunità offerte dai Big Data e hanno una strategia data driven orientata agli aspetti predittivi e all’automatizzazione di processi e servizi. L’utilizzo dei Big Data Analytics è indispensabile per non rischiare di perdere capacità competitiva: le imprese che negli anni scorsi hanno saputo approfittarne, affiancando all’innovazione tecnologica un modello organizzativo capace di governare il cambiamento, oggi si trovano in portafoglio processi piu? efficienti, nuovi prodotti e servizi con un ritorno dell’investimento certo e misurabile”.

 

“Le grandi imprese hanno compiuto grandi passi in avanti, con un maggiore investimento di risorse ma anche di competenze, come dimostra il 45% di aziende che ha inserito figure di data scientist in organico – commenta Alessandro Piva, Responsabile della ricerca dell’Osservatorio Big Data Analytics e Business Intelligence –. Anche le PMI mostrano un diffuso interesse per l’analisi dei dati, con l’utilizzo di strumenti di data visualization e analytics di base, ma anche servizi di supporto alle attività di marketing. Sebbene coprano ancora oggi soltanto il 13% del mercato, la crescita della spesa è un segnale che, seppur più lentamente, si stanno muovendo nella giusta direzione”.

 

Le grandi imprese – La totalità delle grandi imprese utilizza i descriptive analytics, strumenti che descrivono la situazione attuale e passata dei processi aziendali, con una crescita di 11 punti percentuali rispetto allo scorso anno. Ma l’area di maggiore interesse per le imprese è quella dei predictive analytics, gli strumenti avanzati che consentono di effettuare previsioni sull’evoluzione del mercato e sulle strategie, già diffusi nel 73% dei casi (contro il 59% del 2016). Sono ancora indietro, invece, i prescriptive analytics, tool avanzati capaci di proporre soluzioni sulla base delle analisi svolte, presenti solo nel 33% delle grandi imprese (pur in aumento di dieci punti nel), e ancora di più gli automated analytics, capaci di avviare autonomamente l’azione proposta secondo il risultato delle analisi, diffusi solo nel’11% delle organizzazioni, prevalentemente a livello pilota, in linea con quello dello scorso anno (10%).

 

Il settore più interessato nel mercato degli Analytics tra le grandi imprese è quello bancario (28%), seguito da manifatturiero (24%), telco e media (14%), PA e sanità (7%), servizi (8%), GDO (7%), utility (6%) e assicurazioni (6%). Se si prende in considerazione la crescita però guidano la graduatoria assicurazioni, manifatturiero e servizi, con tassi superiori al 25%, seguiti da banche, GDO e telco e media, con tassi tra il 15% ed il 25%, poi utility e Pa e sanità, con crescite più modeste.

 

Tra le aziende che hanno avviato iniziative, gli obiettivi dei progetti di Big Data Analytics sono stati soprattutto il miglioramento dell’engagement con il cliente (70%), l’incremento delle vendite (68%), la riduzione del time to market (66%), l’ampliamento dell’offerta di nuovi prodotti e servizi e l’ottimizzazione dell’offerta attuale per aumentare i margini (64% ciascuno), la riduzione dei costi (57%) e la ricerca di nuovi mercati (41%). Tra i risultati effettivamente ottenuti spicca il migliorare l’engagement con il cliente per la totalità delle imprese (il 100% degli intervistati), il 91% ha incrementato le vendite, il 78% ha ridotto il tempo che intercorre fra l’ideazione e commercializzazione del prodotto, il 67% ha ampliato l’offerta di prodotti e servizi, il 73% ha ottimizzato l’offerta per aumentare i margini di guadagno, il 56% ha contenuto i costi e il 38% cercato nuovi mercati. Quasi due su tre ne danno un giudizio positivo: in particolare, il 13% giudica i risultati disruptive, il 21% un grande successo, il 29% un moderato successo, mentre soltanto il 37% ritiene che sia prematuro esprimere una valutazione e nessuna considera un fallimento questo tipo di iniziative.

 

Tra gli ostacoli principali ai progetti di Big Data Analytics, spiccano la mancanza di impegno e coinvolgimento da parte del top management (53%) e la mancanza di competenze e figure organizzative interne come Chief Data Officer e Data Scientist (51%). Invece non sembrano essere elementi di freno sostanziali i software poco usabili o le soluzioni obsolete (12%), così come la capacità di reperire dall’esterno professionalità con l’adeguato mix di competenze (22%). “Questi dati confermano che il mercato dell’offerta è pronto, con soluzioni allo stato dell’arte e competenze di Big Data Analytics crescenti – afferma Alessandro Piva – persiste invece in molti casi un gap nella capacità di internalizzare figure e skill in grado di analizzare i dati e la capacità di sviluppare modelli di governance della datascience maturi”. Tra gli altri freni vengono segnalate la difficoltà nello stimare i benefici dell’investimento o la necessità di investimenti troppo elevati (39%), soprattutto nelle aziende che per la prima volta si approcciano a soluzioni Analytics, e le problematiche di security e privacy (27%).

 

Le PMI – Nonostante la loro quota di spesa complessiva in Analytics sia cresciuta del 18% nel 2017, il ruolo delle piccole e medie imprese è ancora marginale nel mercato degli Analytics. Lo rivela l’indagine dell’Osservatorio su 947 imprese che impiegano da 2 a 249 addetti, da cui emerge che fra le PMI la diffusione di sistemi di Big Data Analytics si attesti solo al 7%. Tuttavia, le dimensioni aziendali hanno un peso rilevante nel determinare l’approccio a questi sistemi: per le microimprese è ancora prematuro parlare di Big Data Analytics perché non ne comprendono l’utilità e non sono sufficientemente strutturate, ma un’azienda su cinque con almeno dieci addetti ha progetti di Analytics in corso e il dato sale al 24% per le imprese con un con più di 50 addetti, segno di un deciso miglioramento anche delle PMI sulla strada che porta a diventare “Big Data Enterprise”. Lo spaccato per area geografica rivela che l’area più avanzata in termini di diffusione di progetti e strumenti di Big Data Analytics è il Nord Ovest (34%), seguita a grande distanza da Centro (15%) e Sud e Isole (11%), mentre il Nord Est (9%) è l’area più arretrata. Per quanto riguarda la suddivisione settoriale, le aziende dell’ICT e media si confermano le più innovative e le più interessate a introdurre tecnologie Big Data nel prossimo futuro. Ma ha buon posizionamento anche il settore del commercio, mentre il mondo dei servizi finanziari e assicurativi è il più interessato a sviluppare iniziative nel breve periodo.

 

Quando si tratta di valutare l’investimento in progetti di Big Data Analytics, spesso le PMI trovano difficoltà a stimare i reali benefici. Un altro ostacolo è la mancanza di competenze adeguate, difficili sia da sviluppare internamente che da reperire all’esterno, mentre una PMI su dieci è preoccupata dagli aspetti legati alla sicurezza informatica. Gli incentivi principali che invece spingono le PMI a investire in questa tipologia di progetti sono la possibilità di cogliere nuove opportunità di business (per tre aziende su cinque), l’esigenza di ottimizzare i processi e rendere più efficaci le campagne di marketing.

 

Il tema delle competenze è particolarmente sentito dalle PMI che dichiarano di voler utilizzare a breve i Big Data: tre su cinque hanno assunto figure specializzate nell’ultimo anno, ma fra le competenze inserite spicca la conoscenza dei sistemi informatici rispetto all’analisi statistica e al project management. “Tendenziamente le PMI non sono ancora alla ricerca di data scientist, inteso come quel profilo trasversale in grado di far incontrare conoscenze informatiche, di business e capacità di storytelling – analizza Carlo Vercellis -. L’approccio con il quale le organizzazioni con meno di 250 addetti affrontano i Big Data Analytics è infatti ancora di tipo tradizionale: nelle piccole realtà l’analisi dei dati, seppur sviluppata con tecnologie innovative, rimane una prerogativa dell’IT o un argomento complesso da dover richiedere in modo sistematico la consulenza di società esterne specializzate”.

 

Il data scientist – Nel 2017 quasi la metà delle grandi organizzazioni ha al proprio interno almeno un data scientist: il 45% a fronte del 31% nel 2016. Di queste, più del 30% ne ha definito formalmente ruolo e collocazione organizzativa. Inoltre, in media le aziende che contano già dei data scientist in organico dichiarano di volerne incrementare il numero nei prossimi 12 mesi (+46%), ulteriore conferma dell’impatto positivo di queste competenze. Tra le organizzazioni che ne sono ancora sprovviste, il 29% ne prevede l’introduzione, nel 45% dei casi entro il 2018.

 

Fra le organizzazioni che hanno assunto data scientist, il 28% ha iniziato a riconfigurare i propri processi organizzativi secondo una modalità Data Science Enabled, ma le competenze specializzate inserite lavorano ancora prevalentemente nella funzione  IT o in altre specifiche funzioni aziendali. Il restante 17% invece ha raggiunto un livello di governance avanzato che segue svariati modelli organizzativi, diversi in base alla presenza o meno di una struttura centrale di coordinamento. Il 55% delle imprese che non hanno inserito in organico figure specializzate, invece, presenta ancora un modello organizzativo tradizionale, in cui le singole unità di business sono orientate ad analizzare i dati di propria competenza, senza alcuna visione aziendale complessiva.

 

Le startup – Le startup del mercato Big Data e Business Intelligence finanziate da investitori istituzionali dal 2015 ad oggi hanno raccolto complessivamente 4,47 miliardi di dollari nel mondo, di cui 7,1 milioni in Italia. Lo rivela la ricerca dell’Osservatorio su 234 startup censite nel settore, che mostra una crescente  competizione e specializzazione tra le nuove imprese, in grado di sviluppare nuove soluzioni e applicazioni, accanto alle soluzioni di abilitazione tecnologica. Le startup di Big Data e Business Intelligence operano in tre ambiti principali. Nel 13% dei casi nel ramo delle Technologies, offrendo strumenti per la raccolta, l’immagazzinamento, l’organizzazione e l’integrazione del dato. Il 33% si occupa di Analytics Systems, sistemi che non hanno un’applicazione specifica ma possono svolgere diverse funzioni a seconda delle esigenze del cliente. Il 53% delle starup è attivo nell’area delle Applications, soluzioni verticali rivolte a particolari settori industriali (33%) o per una determinata funzione aziendale (67%).

 

*L’edizione 2017 dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence è realizzata con il supporto di 3rdPLACE, Accenture Analytics, Consorzio CBI, Data Reply, Poste Italiane, Quantyca, RAI, Talend, Vertica; Blue BI, BNL, Fastweb, SIA; InfoEdge

 

Ufficio stampa School of Management del Politecnico di Milano

Barbara Balabio

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La School of Management del Politecnico di Milano, costituita nel 2003, accoglie le molteplici attività di ricerca, formazione e alta consulenza, nel campo dell’economia, del management e dell’industrial engineering, che il Politecnico porta avanti attraverso le sue diverse strutture interne e consortili. La Scuola ha ricevuto nel 2007 il prestigioso accreditamento EQUIS. Nel 2009 è entrata per la prima volta nel ranking del Financial Times delle migliori Business School europee. Nel Marzo 2013 ha ottenuto il prestigioso accreditamento internazionale da AMBA per i programmi MBA e Executive MBA. La Scuola può contare su un corpo docente di più di duecento tra professori, ricercatori, tutor e staff e ogni anno vede oltre seicento matricole entrare nel programma undergraduate. La Scuola è membro PRME, Cladea e QTEM. Fanno parte della Scuola: il Dipartimento di Ingegneria Gestionale e MIP Graduate School of Business che, in particolare, si focalizza sulla formazione executive e sui programmi Master.

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