Ci siamo sempre chiesti come gli editori debbano comportarsi nei confronti degli Over The Top (Google e Facebook, in particolare): se vederli più come una minaccia o come un’opportunità. Oggi non abbiamo ancora risposte certe, ma qualche evidenza sì. E non è questione di regolamentazioni, imposizioni o normative più o meno stringenti, ma di creazione di alternative.
Perché servono alternative
Ricordiamo ancora quando, a metà 2018, abbiamo accolto speranzosi la Normativa europea sul copyright digitale (discussa appunto per la prima volta in quell’anno), chiedendoci però come andasse interpretata e dove si sarebbe trovato l’ipotetico nuovo punto di equilibrio nel rapporto di forza editori-OTT. In realtà ci eravamo resi conto quasi subito che non esisteva alcun “rapporto” e probabilmente nessuna reale seconda forza in gioco.
E oggi è ancora più chiaro, con il nuovo casus belli australiano tra gli editori oceanici e Facebook, che i due scenari ipotizzati allora per la compagine europea sono quanto mai ancora veritieri, e addirittura ineluttabili se non verranno costruite vere alternative per gli editori.
Riporto i due scenari che avevamo tracciato allora (lascio al lettore il fact-check con la situazione australiana):
1) Cosa succederebbe se gli editori abbandonassero Google e Facebook?
Per le grandi piattaforme diventerà non conveniente investire nell’informazione e quindi abbandoneranno il loro sforzo in quest’area (esemplificando, addio Google News). Oltre al mancato possibile introito da parte degli editori per l’assenza di link/preview ai loro articoli e alle loro pagine, questi stessi editori vedranno una diminuzione del traffico sul proprio sito, con conseguenze sulla raccolta pubblicitaria. Se la prima parte è solo “ipotetica” (ad oggi gli editori non ricevono alcun compenso), la seconda parte è assolutamente differenziale rispetto allo scenario attuale e un ulteriore calo di traffico metterebbe ancora più in difficoltà la già marginale (rispetto ai grandi OTT) raccolta pubblicitaria.
2) E se gli editori non abbandonassero Google e Facebook?
Ok, gli editori rimangono presenti su queste piattaforme. Va bene, ma a che prezzo? Il “potere contrattuale” degli editori è tale da riuscire a strappare condizioni migliori di quelle attuali? Se ci pensiamo bene, qualsiasi offerta messa sul tavolo dagli OTT agli editori per poter utilizzare a costo stracciato le loro news e i loro articoli sarebbe meglio di nulla. Che fonti di ricavo alternative hanno attualmente gli editori per poter dire no? Come possono pensare oggi di ricavare di più in altro modo?
Ed ecco allora che è questione di alternative, non di regolamentazioni: lo snodo centrale non è una nuova regolamentazione stringente sull’uso e/o la condivisione dei contenuti giornalistici, la vera questione è se gli editori hanno altre possibilità reali.
Gli effetti del “Cookieless” su Editori e OTT
Attenzione: i publisher hanno di fronte nuove sfide, che si aggiungono a queste oramai tristemente note. Nel giro di qualche mese, su tutti i browser più importanti (utilizzati da oltre il 95% degli utenti) non sarà possibile l’utilizzo dei cookie di terze parti, ossia i “programmini” che permettono il tracciamento degli utenti cross-site, il retargeting (la pubblicità degli oggetti/servizi che un utente ha già visionato in passato), la profilazione dell’utente e altro ancora.
Un dramma per la filiera dell’advertising online, che negli ultimi anni si era spostata proprio verso un utilizzo massiccio di queste informazioni per dare messaggi pubblicitari altamente profilati. Un ulteriore dramma per i publisher: una nuova possibile diminuzione della loro raccolta pubblicitaria. Una buona parte delle entrate online degli editori, infatti, deriva dalla collaborazione con attori di terze parti che raccolgono dati tramite le loro piattaforme. Ecco, nel nuovo “scenario cookieless” questo non sarà più possibile.
Situazione diversa invece per i “soliti” OTT: tutti i loro ecosistemi sono definiti come “walled garden”, ossia ambienti chiusi, all’interno dei quali i dati possono essere utilizzati in trasparenza per una miriade di servizi offerti dalla stessa piattaforma e spesso correlati tra loro – ovviamente anche per fini pubblicitari. I dati raccolti in questi “giardini chiusi” sono molti, molti di più di quelli che ogni singolo editore può aver raccolto (se lo ha mai fatto) sul proprio sito web. La raccolta pubblicitaria ne è una diretta conseguenza.
Si ripropone quindi la stessa domanda. Quali alternative ci sono per i publisher? Questi operatori dovranno certamente valorizzare al meglio i dati di prima parte già in loro possesso, più di quanto fatto finora, sopperendo così almeno alle perdite dovute all’eliminazione dei cookie. Molti potranno implementare dei sistemi simili ai “walled garden” degli Over the Top, non tanto per vendere contenuti ma anche solo per raccogliere maggiori informazioni e dati diretti dai propri utenti. Potrebbero anche nascere delle piattaforme di publisher che adottino gli Universal ID unici (una soluzione alternativa ai cookie di terze parti) in logica di ecosistema; stanno nascendo alcuni progetti di questo tipo (ad esempio il netID in Germania), ma al momento non in Italia. È vero, tutto questo non è molto e non sono certo soluzioni “sicure”. Ma di certo sono alternative. Aspettare l’intervento di una regolamentazione “più equa”, invece, non sembra esserlo affatto.
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