Fra gli effetti involontari della pandemia in corso, c’è anche un aumento del consumo di contenuti digitali. Aumento che ha fatto crescere l’attenzione dei player al business delle micro-transazioni. Indistintamente dal fatto che l’accesso al contenuto sia free o pay, al consumatore è richiesta una spesa per acquistare servizi accessori e/o sbloccare funzionalità aggiuntive. Sviluppatosi nel gaming, questo modello di revenue sta prendendo sempre più piede – sia nell’offerta sia nel grado di utilizzo del consumatore – a tal punto da attirare l’attenzione dei player e spingere alcune piattaforme aggregatrici a interrogarsi sulla sostenibilità del loro modello di business.
Micro-transizioni, commissioni e AppStore: il caso Fortnite
Parliamo in particolar modo di Apple e di Google, che in queste ultime settimane hanno avviato con polso ferreo alcune azioni volte a rivendicare la loro percentuale di ricavi. Sui rispettivi App Store, infatti, le società trattengono il 30% del valore degli acquisti ma non trattengono nulla se le micro-transazioni degli acquisti in-app avvengono su altri circuiti o con strumenti di pagamento differenti da Apple Pay o Google Pay. A far esplodere la questione è stato il caso Fortnite, gioco popolare tra le fasce più giovani basato esclusivamente su acquisti in-app di virtual content. Epic Games (casa produttrice di Fortnite) ha spinto gli utenti, attraverso sconti e promozioni, a effettuare gli acquisti direttamente sul proprio circuito, bypassando Apple ed evitando le commissioni previste dall’App Store. La reazione della casa di Cupertino, seguita a ruota da Google, è stata Immediata, e ha portato alla rimozione del gioco dagli store.
Mentre il caso prosegue nei tribunali, Google ha rivisto le policy del suo App Store imponendo l’obbligo agli sviluppatori di adottare Google Pay come sistema di pagamento per gli acquisti in-app. Ad oggi solo il 3% delle applicazioni presenti sullo store usa lo strumento di pagamento di Big G. Il dibattito prosegue: da un lato le aziende ritengono eccessiva la commissione del 30% (normalmente i sistemi di pagamento applicano una commissione di pochi punti percentuale), dall’altro Apple e Google la giustificano come costo di marketing e di security.
Digital Content e micro-transazioni: verso nuovi modelli di business
Difficilmente si arriverà in breve tempo a una stretta finale. Il tema, però, è di chiara importanza, e molto probabilmente condurrà a ridisegno degli accordi e delle logiche di monetizzazione. Sorgono allora spontaneamente alcune domande. È corretto che le piattaforme di aggregazione impongano il proprio circuito di pagamento e che si prendano una percentuale anche sugli acquisti in-app, rivendicando le loro azioni di marketing, posizionamento del contenuto e generazione di traffico? Se nel tempo gli acquisti in-app prevarranno sull’acquisto one-shot del contenuto, per gli store sarà necessario pensare a nuove forme di ricavo? Se le nuove condizioni volute dagli store saranno legittimate, i principali player lasceranno gli store?
Rispondere a questi quesiti, oggi, è davvero complicato. Ciò che è chiaro è che i modelli di business e i comportamenti di spesa dei consumatori stanno cambiando e spostando gli equilibri dei flussi di revenue. Insomma, il treno delle micro-transazioni non è da perdere.
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