Il 52% dei musei italiani è social ma i servizi digitali per la fruizione delle opere sono limitati

L’innovazione digitale sta penetrando nei musei soprattutto con strumenti di comunicazione come il sito web, i social network e le newsletter.

 

Dall’analisi del campione dei musei effettuata dall’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali nel 2016 risulta che il 52% dei musei possiede almeno un account sui social network; solamente il 13% è presente nei tre più diffusi. Su Facebook si registra la maggiore presenza (51%); seguono Twitter (31%) e Instagram (15%). Anche il 10% dei musei che non ha un sito Internet risulta però attivo su Facebook.

 

I dati Istat mostrano invece tassi di adozione più ridotti, inferiori al 20%, per i servizi digitali legati alla fruizione delle collezioni, sia online (ad esempio, catalogo accessibile online e possibilità di visita virtuale), sia onsite (come QR-code e sistemi di prossimità, App per dispositivi mobile). 

Milano, 19 gennaio 2017 – 4976 musei, aree archeologiche e monumenti, 1 ogni 12.000 abitanti[1]: il patrimonio italiano è noto per la straordinaria ricchezza, ma rivela un potenziale di attrattività non ancora valorizzato. I trend negli incassi e negli ingressi sono positivi, ma nessun museo appare tra i 10 più visitati al mondo, uno su tre ha meno di 1000 visitatori l’anno e il 70% degli italiani non li visita.

“Le istituzioni culturali si trovano oggi di fronte a una doppia sfida: non basta attrarre visitatori, ma occorre trovare il modo per comunicare il proprio patrimonio in un modo nuovo, che lo renda più prossimo alle esigenze di conoscenza ed esperienza di cittadini e turisti” afferma Michela Arnaboldi, Direttore Scientifico dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali. “Molte istituzioni hanno raccolto la sfida di trasformarsi per divenire più efficienti e parlare a nuovi e vecchi pubblici. L’innovazione digitale, che ha determinato un radicale cambiamento dei paradigmi di mercato negli ultimi anni, potrebbe ora rappresentare un fondamentale fattore di trasformazione per il settore culturale”

Dalla classifica Istat dei servizi digitali più utilizzati nel 2015, i primi tre risultano dedicati alla comunicazione. Il sito web ottiene il primo posto: è adottato dal 57% dei musei; in seconda posizione si attestano gli account sui social network (Facebook, Twitter, Instagram) seguono in seconda posizione (41%) mentre la newsletter è terza (25%). I servizi dedicati alle collezioni seguono con percentuali più ridotte: ai piedi del podio si attestano gli allestimenti interattivi o le ricostruzioni virtuali, adottati dal 20% dei musei, e la connessione wi-fi gratuita, offerta dal 19%. QR code, servizi di prossimità, catalogo accessibile online o visita virtuale del museo dal sito web hanno tutte un’adozione tra il 13 e il 14%.

 

L’analisi effettuata dall’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali sul proprio campione di musei nel 2016 mostra inoltre un’ulteriore spinta verso l’impiego dei social network: il 52% possiede un account e la maggiore presenza (51%) viene registrata su Facebook (51%); seguono Twitter (31%) e Instagram (15%).

 

Queste alcune delle evidenze presentate oggi presso il Piccolo Teatro Grassi di Milano dalla prima edizione dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano*.

 

L’Osservatorio ha condotto un’indagine su un campione di 476 musei italiani, pari a circa il 10% dei musei aperti al pubblico nel 2015: per ciascun museo è stata rilevata la presenza di un sito web e le sue funzionalità, la disponibilità di applicazioni, la presenza sui social network, su TripAdvisor e su Wikipedia. Inoltre è stata condotta un’analisi sugli account ufficiali di 125 musei italiani, presenti su Facebook, Twitter e/o Instagram, nel periodo Giugno 2016 – Novembre 2016, con l’obiettivo di scattare una fotografia della presenza online e social dei musei italiani, di individuare i servizi più implementati dai musei nel proprio sito web e di misurare il riscontro presso il pubblico delle attività social dei musei nei propri account ufficiali (tramite indicatori di reach e engagement).

 

Gli strumenti digitali utilizzati dai musei italiani

Considerando i musei che hanno un sito web (57% del totale) è emerso come non sempre esso sia costruito in modo da facilitare l’utente nell’interazione con i suoi contenuti. Partendo dalla home page, ad esempio, sono presenti delle chiare call to action rispetto alla biglietteria online solo nel 21% dei casi e all’accesso ai profili social nel 51%.

La traduzione in lingue straniere (principalmente l’inglese) è disponibile solo nel 54% dei casi e i contenuti solo nel 20% sono indirizzati a particolari categorie di utenti (famiglie, disabili, gruppi, etc.). I numeri sono ancora più piccoli quando si indaga la presenza di servizi più avanzati come la possibilità di acquistare online merchandising o materiale legato al museo (6% dei casi), effettuare donazioni (anche in questo caso 6% e per il 70% si tratta di musei privati) e crowdfunding (1%).

Per quanto riguarda la presenza sui social network, solamente il 13% è presente su tutti e tre i social più diffusi (Facebook, Twitter, Instagram); interessante anche notare che il 10% dei musei che non hanno un sito Internet è però attivo su Facebook.

Analizzando i messaggi postati si nota che la maggior parte di essi è di natura promozionale, riguarda la segnalazione di eventi o accoglienza (orari di apertura e promozioni sugli ingressi). Molto apprezzate sono, però, le rubriche in cui vengono proposte opere del museo o racconti di storie che ruotano intorno ad esse, ad esempio su particolari personaggi: solo chi offre contenuti di valore sulle opere esposte e sulle storie che ruotano attorno ad esse, infatti, riesce a creare engagement.

Nel campione analizzato, i 3 musei con il maggior numero di page like su Facebook sono i Musei Vaticani, seguiti dalla Reggia de La Venaria Reale e dal MAXXI al terzo posto.

Su Twitter, il primo posto per quantità di follower è stato conquistato dal profilo dei Musei in Comune di Roma mentre il MAXXI si attesta al secondo posto e il Museo del Novecento, a Milano, conquista la medaglia di bronzo. Su Instagram, invece, la Peggy Guggenheim Collection di Venezia è l’ente più seguito, seguono il Triennale Design Museum di Milano e il MAXXI di Roma. Tutte le altre posizioni sono disponibili a questo link.

 

“Nonostante molti dei musei italiani abbiano appena intrapreso la strada dell’innovazione e dell’attenzione alle esigenze del pubblico, sui social network e nelle recensioni degli utenti l’apprezzamento prevale sulla critica” afferma Eleonora Lorenzini, Coordinatrice della Ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali “Considerando i 476 musei studiati, ben il 62% di essi è presente su TripAdvisor. Di questi il 51% ha un certificato di eccellenza, con il 66% delle valutazioni pari o superiori a 4,5 stelle (su cinque stelle di valutazione massima).”

 

Analizzando infine il sentiment degli utenti social, sia italiani che internazionali, rispetto ai musei italiani si ha la conferma di questa percezione. È emerso, infatti, che il 46% dei contenuti pubblicati su Twitter ha una valenza positiva, mentre solo il 18% parla dei musei in modo negativo e il 22% neutro. Il restante 14% è off topic, ossia il post contiene il nome del museo ma senza riferimento esplicito al suo contenuto. Nonostante su molti servizi si riconosca una carenza di offerta, nel pubblico prevale dunque un atteggiamento positivo.

 

Le startup nell’ecosistema culturale italiano e internazionale

“Negli ultimi tre anni, le startup del settore finanziate a livello globale sono risultate 72 e hanno raccolto lo 0,4% delle risorse destinate alle nuove imprese Hi Tech, per un totale di 153 milioni di euro” afferma Eleonora Lorenzini, Coordinatrice della Ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali “I finanziamenti si sono concentrati sulle attività di prenotazione e biglietteria (39%), crowdfunding (28%) e vendita di opere d’arte, anche digitali (20%). Sul fronte dei servizi B2B quali archiviazione e catalogazione l’investimento è estremamente limitato”.

Questo stesso orientamento si riscontra in Italia, dove delle 105 startup censite, sono pochissime quelle che si cimentano sul B2B, probabilmente a causa della “prudenza” che le istituzioni culturali del paese ancora mantengono verso gli investimenti digitali. C’è invece un notevole fermento sui servizi di supporto alla visita di musei e città, ambito in cui il mercato è maggiore anche per la forte connessione con il turismo (se ne occupa il 30% delle startup italiane). Un ulteriore ambito privilegiato è quello della prenotazione e biglietteria (21%), ma rimangono dubbi sulla sostenibilità di questa specializzazione per le startup italiane: chi opera in questo settore, infatti, si colloca in un mercato molto scalabile ma sempre più oligopolistico in cui le grandi Internet Company (del turismo ma non solo) hanno iniziato a investire con forza. È probabile che la forte specializzazione su nicchie e target specifici sia in questo caso l’unica possibilità di sopravvivenza.

 

Le sfide per il futuro

“È emerso dall’analisi un panorama di istituzioni culturali in fermento, che cerca la via per l’innovazione per superare le criticità e sperimentare nuove modalità di mediazione, spesso abilitate dal digitale”, conclude Michela Arnaboldi. “La prima sfida è legata alle risorse umane e alle competenze: le istituzioni culturali devono dotarsi di figure nuove, ibride, che diventino interpreti “digitali” del patrimonio, ossia di persone che conoscano il patrimonio, il suo valore, ma che al contempo siano in grado di valutare le opportunità offerte dal digitale. La seconda sarà rendere i progetti innovativi sostenibili economicamente sul medio e lungo periodo, magari attraverso nuovi modelli di business in grado di trarre risorse finanziarie proprio dai servizi abilitati dalla tecnologia. Un ambito su cui riflettere e investigare è infine il valore per il territorio, non ridotto alle misure più tradizionali di indotto economico, ma esteso alla funzione che le organizzazioni culturali possono avere per rivitalizzare aree dimenticate, o come luogo di confronto per i cittadini nuovi e vecchi.”

 

*L’edizione 2016 dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali è realizzata con il supporto di Cineca, Compagnia di San Paolo, Dedagroup, Fluxedo, Fondazione Cariplo, MyTemplArt, Vidiemme Consulting; Italvideo Service, TicketOne Sistemi Culturali; Alsaro, Apptripper; Sipario Portal; Camera di Commercio di Milano.

 

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[1] ISTAT, I musei, le aree archeologiche e i monumenti in Italia. Anno 2015.

 

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Eleonora Lorenzini

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