La settimana lavorativa corta: sperimentazioni, benefici e punti di attenzione
A cura di:
Fiorella Crespi – Direttore dell’Osservatorio Smart Working
Negli ultimi anni molte organizzazioni si sono mosse verso un cambiamento culturale orientato a dare alle persone maggiore flessibilità nell’organizzazione del proprio lavoro e introdurre la logica di lavoro per obiettivi. In questa direzione si colloca l’iniziativa della settimana lavorativa corta, che ciclicamente viene sperimentata in qualche realtà o Paese. I primi progetti di questo tipo sono stati realizzati con successo nel 2018 e nel 2019, rispettivamente in Nuova Zelanda dalla società Perpetual Guardian e in Giappone da Microsoft. A seguito della pandemia, negli ultimi mesi si è riacceso il dibattito su questo tema in Italia e all’estero, sia a livello aziendale che di Paesi, alcuni dei quali hanno già avviato sperimentazioni, anche se con formule diverse.
Tra le iniziative più recenti troviamo quella del governo spagnolo che, nel 2021, ha reso possibile la riduzione dei giorni lavorativi abbassando il monte orario settimanale da 39 a 32, senza alcuna riduzione degli stipendi. In Scozia l’accorciamento della settimana lavorativa è previsto attraverso una riduzione del 20% dell’orario di lavoro a parità di stipendio. Una soluzione simile è stata adottata dagli Emirati Arabi, dove si lavora per quattro giorni e mezzo a settimana mantenendo la stessa retribuzione. In Giappone l’8% delle aziende (tra cui Panasonic) sta sperimentando estensioni delle giornate di riposo oltre i due a settimana. Una formula diversa è stata recentemente proposta dal Belgio, dove i lavoratori possono presentare una domanda di riduzione dei giorni lavorativi, senza però modificare il monte ore settimanale, distribuendolo su quattro giorni. L’ultima iniziativa in ordine cronologico è il progetto pilota più grande mai sperimentato sulla tematica, lanciato in Gran Bretagna, dove 70 aziende e 3300 lavoreranno quattro giorni a settimana a parità di salario per sei mesi, con una riduzione di 1/5 dell’orario di lavoro a patto di mantenere lo stesso livello di produttività.
In Italia non è presente una regolazione normativa su questo tema; tuttavia, alcune aziende private hanno avviato delle sperimentazioni. Società come Team System e Velvet Media, Mondelez International e PA Advice, Awin Italia e Carter&Benson – seppur con diverse formule – hanno cominciato a muoversi in questa direzione autonomamente, riducendo il monte orario settimanale.
Se pensiamo ai benefici derivanti dalla riduzione del numero dei giorni lavorativi sono diversi; i risultati emersi dalle sperimentazioni evidenziano effetti positivi in termini di benessere e work-life balance per il lavoratore, con ricadute positive sull’engagement e sulla produttività. Anche le aziende potrebbero trarre vantaggio da una settimana lavorativa di quattro giorni, soprattutto in termini di attraction e retention: la prospettiva di godere di un giorno in più da dedicare ai propri interessi e i benefici in termini di benessere associati potrebbero risultare decisivi nell’attrazione dei profili più talentuosi. A tutto ciò si aggiunge il fatto che l’introduzione della settimana apporta benefici anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale (con un risparmio energia ed un calo delle emissioni, oltre che sociale (diminuendo i costi per la cura dei figli e consentendo una migliore distribuzione delle responsabilità tra i genitori, che permetterebbe una riduzione delle barriere al raggiungimento di posizioni di vertice per le donne). Gli studi condotti sulle già citate sperimentazioni di Perpetual Guardian e Microsoft parlano chiaro: la prima ha fatto registrare una riduzione del livello di stress pari al 7% e un miglioramento del 24% in termini di work-life balance; la seconda ha fatto emergere un incremento del 40% della produttività, oltre che una riduzione del consumo di elettricità del 23%.
D’altro canto, una simile misura presenta alcune criticità di cui è bene essere consapevoli. Non tutti i profili lavorativi potrebbero essere adatti alla settimana corta: offrirla solo ad alcuni dipendenti potrebbe innescare un sentimento di risentimento dannoso per l’organizzazione. Inoltre, a livello operativo potrebbero esserci degli ostacoli da superare: meno giorni di lavoro potrebbero determinare inefficienze nei confronti dei clienti, oltre che difficoltà nella pianificazione delle attività di gruppo a causa del calendario ristretto. Gli effetti sul livello di produttività richiedono poi alcune considerazioni. L’immediato aumento di produttività citato tra i benefici potrebbe non essere duraturo nel lungo periodo e potrebbe dipendere dal livello di maturità dei dipendenti. Il monitoraggio delle performance e le maggiori complessità nel coordinare le attività in team dovute al giorno lavorativo in meno rischiano di rappresentare un carico di lavoro ulteriore per alcune figure (manager e amministratori). Infine, la formula di implementazione della settimana corta potrebbe incidere sui livelli di stress: la compressione delle attività in minor tempo per mantenere lo stesso livello di produttività potrebbe costringere a ritmi serrati (soprattutto se alla diminuzione dei giorni non corrisponde una diminuzione dell’orario). Un’ultima riflessione riguarda l’eventuale obbligatorietà di adesione alla settimana da quattro giorni, fortemente in contraddizione con i principi di flessibilità alla base dei modelli lavorativi che la prevedono.
In conclusione, accorciare la settimana lavorativa rappresenta sicuramente una prospettiva interessante per l’evoluzione futura delle modalità di lavoro e sarà interessante vedere gli effetti positivi su persone, organizzazioni e società misurati al termine di queste sperimentazioni. Allo stesso tempo, è necessario analizzare attentamente le criticità che ne derivano. La sperimentazione di queste modalità di lavoro, con un attento monitoraggio degli impatti, potrà offrire a lavoratori e imprese gli strumenti per capire quali formule siano ad oggi più adatte per soddisfare le rispettive esigenze.
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